Cinque anni fa, in occasione del primo turno delle elezioni presidenziali francesi, Emmanuel Macron aveva ottenuto il 24,01% dei suffragi espressi e Marine Le Pen, leader della destra nazionalista, il 21,30%. Un sondaggio della società Ispos, relativo alle intenzioni di voto dei francesi e pubblicato venerdì 8 aprile da Le Monde, attribuiva ai due più forti candidati alla presidenza rispettivamente il 26,5% ed il 22,5%. I risultati del voto di domenica, sulle basi dei dati forniti da Le Monde, mostrano, rispetto ai sondaggi, un leggero aumento dei voti a favore di entrambi, con un lieve scarto a favore del presidente uscente: E. Macron 27,60 %, M. Le Pen 23,41 %. J.-L. Mélenchon ottiene il 21,95 %, due punti al di sopra del 19,58% del 2017; mentre, con l’eccezione di E. Zemmour che raggiunge il 7,20 % (molto meno di quanto si pensasse fino ad alcune settimane fa sulla base delle intenzioni di voto misurate dai sondaggi), tutti gli altri candidati sono al di sotto del 5%, incluse le candidate del Partito socialista, Anne Hidalgo, e quella della destra post gollista Les Républicains, Valérie Pécresse.

Il tasso di partecipazione al primo turno era stato cinque anni fa del 77,77% ed è sceso di quasi quattro punti attestandosi al 74,00 %. Prima di questi risultati si sosteneva da più parti che gli elettori avrebbero voluto vedere un film diverso da quello precedente, ma dopo cinque anni, se si prescinde dall’apparizione di Eric Zemmour a destra della destra radicale, i candidati, e non solo i primi due, come l’offerta politica nel suo complesso, sono rimasti sostanzialmente gli stessi. Nel 2017 allo spareggio finale Macron aveva battuto Le Pen con un secco 66,10%, più che raddoppiando i voti ottenuti al primo turno. Nessuno si aspetta oggi che questo risultato possa ripetersi. Il quinquennio della presidenza di Macron è stato caratterizzato da successi, in particolare sul fronte dell’occupazione e della crescita economica, nonostante la pandemia, ma anche da proteste e da malcontento, soprattutto nelle fasce della popolazione a reddito più basso, che oggi votano per le forze politiche radicali, e la possibile vittoria del presidente uscente avrà certamente un margine minore – se non ci sono sorprese durante la campagna elettorale che si svolgerà nel corso delle prossime due settimane e che avrà un ruolo decisivo.

I risultati del primo turno hanno un rilievo particolarmente importante se confrontati con gli esiti elettorali dell’ultimo decennio: essi segnano infatti un mutamento profondo del sistema dei partiti in Francia, altrettanto significativo di quello che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni in Italia. I dati che riportiamo nella tabella riprodotta in questa pagina testimoniano una trasformazione profonda del quadro politico-partitico della Quinta Repubblica. Come si sa, le istituzioni e la legge elettorale sono rimaste sostanzialmente le stesse dal 1962 – quando De Gaulle ottenne l’elezione diretta del Presidente della Repubblica – e per certi versi sono state accentuate in senso presidenzialista dalla riforma costituzionale del 2000, che ha introdotto il mandato presidenziale di cinque anni in coincidenza con il mandato della Assemblea nazionale. Ma il sistema dei partiti è radicalmente mutato, al punto che possono sorgere interrogativi circa la resistenza dell’impianto costituzionale ed elettorale a tale trasformazione.

Come si vede da questi dati, in dieci anni la somma dei voti della destra moderata più la sinistra moderata si è progressivamente e notevolmente contratta, passando dal 58% del 2012 (dato simile a quello delle elezioni precedenti) al 26% nelle elezioni presidenziali del ’17, al 20% nelle intenzioni di voto il 15 marzo di quest’anno e all’ 11% effettivo del primo turno. Viceversa, i voti raccolti dalle due estreme hanno subito un forte incremento, dal 33% al 57% (48% nei sondaggi di quindici giorni fa). Anche il centro si è accresciuto, dal 9 al 28% circa. La società politica francese è dunque spaccata dal punto di vista politico in tre parti, non più in due come per il passato, quando la competizione era ridotta alla opposizione destra contro sinistra. E il primo turno ha lasciato inevitabilmente in competizione per la presidenza solo due di queste: il centro e la destra radicale. Insieme, queste due forze hanno ottenuto il 51% dei suffragi espressi. Fra due settimane, durante le quali la campagna elettorale si farà più intensa, la vittoria al ballottaggio sarà assegnata dalle seconde preferenze che saranno espresse dal restante 49% degli elettori, per i quali le opzioni espresse al primo turno non sono state ammesse al secondo.

È chiaro che per il Presidente, se verrà eletto Macron, sarà difficile governare un paese nel quale la protesta raccoglie ormai quasi il 60% dei voti. E sarà ancora più difficile per Marine Le Pen, se dovesse essere lei ad occupare il vertice dello stato francese. Ma la frattura che caratterizza la Francia è anche sociale, oltre che politica: il dato che colpisce di più è quello che si riferisce al voto per classi di età (fonte: Elabe), ove si vede con chiarezza contrapposizione generazionale che connota il paese d’oltralpe. I più giovani, fino a 35anni, sono nettamente e prevalentemente per la sinistra di Melenchon, mentre Macron conquista i più anziani, oltre i 65. Si tratta di un’altra, significativa differenziazione sociale del voto in Francia (oltre a quella tra grandi città, in primo luogo Parigi – che è per Macron – e il resto del paese, ove la Le Pen ha più successo) che mostra come si tratti ormai – e contrariamente a un tempo – di un paese profondamente diviso e, per questo, difficile da governare.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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