Il 22 febbraio si terrà in Nevada il terzo round delle primarie e la domanda che in questi giorni assilla i democratici americani, dal gruppo dirigente del partito fino ai commentatori della stampa liberal, è se Bernie Sanders sia un candidato “electable”, ovvero se sia davvero in grado di competere con Donald Trump per la conquista della Casa Bianca. In più, diversi membri dem del Congresso temono che le chance del partito di vincere il Senato e mantenere il controllo della Camera a novembre siano compromesse dalla candidatura del radicale Bernie. Con il presidente, infatti, si vota anche per la Camera dei Rappresentanti – che ha durata biennale – e, in alcuni Stati, per il Senato: l’etichetta di “socialista” che Sanders sbandiera con orgoglio e le posizioni estreme su alcune “policies” controverse – dal Medicare for All al Green New Deal – realizzabili solo con un poderoso inasprimento della pressione fiscale potrebbero respingere gli elettori sia nei distretti ricchi e moderati che nel 2018 avevano consegnato la Camera ai democratici che negli Stati dove la maggioranza è in bilico e i senatori repubblicani sono vulnerabili.

All’evento domenicale di Bernie Sanders a Carson City, la capitale dello Stato del Nevada, c’era anche il sindaco di New York, Bill de Blasio. «Bill è un esempio lampante delle “idee radicali” intorno alle quali si può unire il Partito Democratico», ha proclamato Sanders. Non solo idee, però. Bill de Blasio porta in dote anche una solida base di sostegno tra gli elettori afroamericani a New York e rimane uno dei pochi democratici progressisti ad aver conquistato un’alta carica elettiva grazie a una composita coalizione di elettori di etnie diverse. «I newyorkesi conoscono fin troppo bene il danno causato dalla xenofobia, dal bigottismo e dall’incoscienza di Donald Trump. E Bernie – dice de Blasio – è il candidato giusto per affrontarlo e abbatterlo. Ho chiesto un’agenda audace e progressiva: esattamente quella che il senatore Sanders promuove da decenni». Ma la foto di Sanders e de Blasio insieme a Carson City ha sui dem americani lo stesso effetto della foto di Narni – o, per i più nostalgici, della foto di Vasto – sui riformisti italiani: in vista delle elezioni generali, il fronte populista di sinistra ha il sapore dell’incubo di una sconfitta annunciata.

Tom Malinowski, deputato del New Jersey in un distretto “contendibile”, spiega che i democratici hanno bisogno di un candidato presidenziale che «non spaventi tutti i “futuri ex repubblicani” più di quanto li spaventa Trump». E, consapevole che la strategia dei repubblicani sarà quella di marchiare a fuoco tutti i democratici con l’etichetta di “socialista”, avverte: «C’è un candidato per il quale questa etichetta non sarebbe una bugia». Dina Titus, deputata del Nevada, dove si vota appunto tra pochi giorni, avverte gli elettori democratici di Carson City che, con Sanders come front-runner, «difficilmente riconquisteremo il Senato. Non c’è modo, perché tutti saranno macchiati con lo stesso inchiostro del radicalismo. Probabilmente perderemo posti in Aula». E così, mentre i Democrats – sia in pubblico che, soprattutto, nell’anomimato – «esprimono un grande nervosismo, i repubblicani si sfregano le mani per il piacere», rivela Alan Fram, corrispondente da Washington dell’Associated Press. Tom Cole, rappresentante repubblicano dell’Oklahoma, già leader del comitato elettorale del GOP della Camera, commenta così la possibile nomination di Sanders: «È il sogno di ogni repubblicano che diventa realtà».

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