La verità è che qualcuno da Bruxelles aveva sussurrato all’orecchio del ministro che era fatta. Che “lunedì al massimo martedì ci sarebbe stato il via libera di Bruxelles alla seconda rata del secondo semestre 2022”. Arrivare in Parlamento per l’informativa con quel via libera avrebbe sedato molti mal di pancia e facilitato l’annunciata “operazione verità” sul Pnrr dopo tanti messaggi spesso contraddittori veicolati in questi primi sei mesi di governo. Ma il via libera ai 19 miliardi della terza rata non è arrivato. Non ancora, almeno. “Siamo in attesa, confidiamo nelle prossime ore e in una soluzione positiva” ha comunicato il ministro Fitto prima ai senatori e poi ai deputati.

Un po’ pochino rispetto ad una operazione verità che doveva fare chiarezza sui progetti realizzabili e a rischio. Che doveva, dopo settimane di allarmi – da Fitto con “non riusciremo a realizzare le opere previste, tanto vale dircelo adesso” a Crosetto passando per Zangrillo fino alla premier Meloni che spesso ha voluto sottolineare “stiamo pagando noi errori del passato”- fare il punto della situazione regione per regione, progetto per progetto, miliardo per miliardo dei 209 previsti. C’è stato invece l’ennesimo cambio di passo con assai pochi chiarimenti. Nel senso che il governo promette di “spendere tutti i soldi disponibili” mentre un paio di settimane fa il messaggio è stato: “Non riusciamo a spendere questi soldi, conviene dirlo subito”. Il governo intende poi “rimodulare” alcuni progetti e non si parla più di “cancellare quelli irrealizzabili magari dirottando quelle risorse sui grandi soggetti attuatori e nello specifico per le grandi infrastrutture”.

Insomma, non va tutto bene e già nel primo semestre del 2023 sarà necessario “rimodulare alcuno obiettivi” ad esempio su asili, sanità e idrogeno. Però il decreto Pnrr approvato in via definitiva la scorsa settimana sarà la soluzione per tante criticità, soprattutto burocratiche, che secondo la Corte dei Conti mettono a serio rischio la realizzazione del Piano. E’ un ministro diverso rispetto a quello che tre settimane fa, proprio qui alla Camera aveva gettato la maschera e lanciato l’allarme: “Inutile fare giri di parole, molti progetti legati al Piano sono irrealizzabili. Tanto vale dirlo subito”. In queste tre settimane sono intervenuti almeno un paio di fattori. Sicuramente i continui e reiterati appelli del Presidente della Repubblica a “fare presto, bene e tutto” che ieri Fitto davanti al Parlamento ha detto di far proprio.

“Noi – ha aggiunto – abbiamo la consapevolezza e la convinzione di volerlo attuare ma sia chiaro che la cosa più complessa è l’attuazione del programma”. Poi sono intervenute questioni di tipo economico-finanziario. E un numero che fa premio su tutto: 25 miliardi. Di tanto aumenterà , nel 2023, la spesa dello Stato in interessi. Colpa dell’aumento dei tassi da parte della Banca Centrale europea. E se la curva del debito italiano da qui al 2026 è sotto controllo, lo si deve ai quaranta miliardi e passa l’anno garantiti, almeno sulla carta, dal Pnrr. Per questa ragione la premier già nei giorni scorsi aveva deciso di spengere sul nascere la tentazione di un pezzo di maggioranza a rinunciare ad una parte dei 122 miliardi di. prestiti (su 209 totali, la parte restante è a fondo perduto). In chiave Pnrr-Opportunità-rilancio-italiano va visto il viaggio a Londra (domani) della premier Meloni. Oggi il nuovo – e vedremo se definitivo – approccio del governo è “far emergere i problemi esistenti non per aprire un dibattito (come successo finora anche in modo un po’ spregiudicato, ndr) ma per immaginare le soluzioni ad essi nei tempi previsti dai regolamenti europei”.

La rassicurazioni però finiscono qui. Tra i 27 obiettivi Pnrr da realizzare entro il 30 giugno 2023 “ci sono alcuni obiettivi da rimodulare. Con tutti i ministeri e con tutti coloro i quali sono al lavoro nella fase di attuazione, stiamo verificando il livello di avanzamento”. Tra questi vengono sottolineati in rosso tre capitali di spesa: la realizzazione di asili nido e scuole per l’infanzia (i bandi di gare in molti comuni anche del sud sarebbero andati deserti), la sperimentazione dell’idrogeno nei mezzi di trasporto pubblico – qui proprio saremmo al carissimo amico – e il progetto Cinecittà. Sappiamo che la Commissione ha già bocciato senza appello gli stadi di Venezia e Firenze perchè non congrui con le finalità del Piano dove ci sono sport e inclusione e quindi i relativi impianti ma non gli stadi di calcio di società di serie A. Fitto ha garantito che “l’interlocuzione con la Ue è per mantenere gli obiettivi” e i finanziamenti “garantendo la loro realizzazione entro il 2026”. E però non si sa ancora come saranno reimpiegati ad esempio i 55 milioni di Firenze.

Il senatore Renzi ha indicato la soluzione: “Case popolari, verde pubblico e scuole, anche qui ci sono i progetti già pronti. Per quello che riguardo lo stadio della Fiorentina, togliamo i veti delle soprintendenze e consentiamo alla società Fiorentina calcio di poter operare come può e crede”. Per le opposizioni l’informativa di ieri è stata un’occasione sprecata. Il Pd attacca con Alfieri e Boccia: “Fitto non dice e non spiega. Quali progetti vuole rimodulare? E’ un caso che a rischio siano proprio gli asili e la sanità pubblica e locale che erano alcuni degli obiettivi primari?”. Il verde Bonelli a sua volta sottolinea che “ad essere penalizzata sia la transizione verde con i progetti sull’idrogeno”. Mara Carfagna (Terzo Polo) vuole conferma, ma non la ottiene, che “il 40% dei fondi resti destinato al sud”. Insomma, l’operazione verità alla fine ha chiarito poco o nulla. Tranne che su un punto: “Spenderemo tutte le risorse in accordo con la Commissione”. Il ministro Fitto ieri ha avuto un merito: non ha fatto scaricabarile sul passato.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.