Il focus è sempre dall’“altra parte”. Generalmente quella meno di sostanza e più legata ad un facile consenso. Ad esempio il focus è sull’ immigrazione “selvaggia” e sul Pnrr “in ritardo per colpa di chi c’era prima” invece che su un sistema di accoglienza agli sgoccioli e che produce più clandestini o su quelle riforme strutturali che Bruxelles ha prescritto e che il governo ha fermato. Lo sguardo è sempre dalla parte che fa meno male. Ma tanto le cose arrivano lo stesso.

Così va sulle concessioni balneari. Meloni ne ha parlato nei suoi colloqui con i commissari europei, da Gentiloni a Breton, ma s’è ben guardata da mettere il tema sul tavolo della discussione pubblica. Oggi non se ne potrà più fare a meno perché nell’arco delle prossime 48 ore ci arriverà in faccia un uno-due da paura. Ovverosia una maximulta in danaro e l’intimazione al governo a procedere con le gare pubbliche a partire da gennaio prossimo per decidere a chi vanno le 15.414 concessioni turistiche-ricreative. Un uno-due, si diceva. Il “cazzotto” numero uno arriverà oggi dai giudici della Corte di giustizia europea che si pronunciano su 9 diversi quesiti del Tar Puglia e faranno finalmente chiarezza sull’applicazione della Bolkestein.

Due i quesiti più importanti: se la direttiva europea del 2006 è “valida e vincolante” per gli Stati membri visto che è stata votata a maggioranza e non all’unanimità; se la decisione dei giudici è autoesecutiva ed applicabile. In questo caso vuole dire che i comuni italiani sui cui territori ci sono concessioni demaniali dovranno subito preparare i bandi per mettere a gara, da gennaio 2024, le oltre 15 mila concessioni. Il cazzotto numero due è la lettera della Commissione che impone due mesi di tempo per eliminare la proroga delle concessioni (in pratica niente gare fino al dicembre 2025) che il governo Meloni ha inserito nel Mille proroghe cancellando quanto già deciso dal governo Prodi. Il cosiddetto “parere motivato” della Commissione non era atteso per ieri come si è vantato il sindacato Sib cantando vittoria, ma per il mese di maggio. Da quel momento scatteranno i due mesi per allineare l’Italia alla direttiva Bolkestein.

Un mese in più, insomma, tempo prezioso per il governo. Se oggi, appunto, non arrivasse il verdetto dei giudici che potrebbe invece da subito “costringere” i comuni a procedere con le gare. I gestori che stanno aprendo le spiagge per la nuova stagione sono col fiato sospeso. Il fatturato del settore conta 15 miliardi mentre l’incasso attuale delle concessioni demaniali si aggira intorno ai 107 milioni (55 solo gli stabilimenti balneari). I conti non tornano. Nulla di nuovo, purtroppo. La questione è antica: da 28 mesi l’Italia gioca a nascondino con la direttiva europea, la procedura d’infrazione è stata avviata nel settembre 2020 e il “parere motivato” atteso per il prossimo mese è lo step numero 2 della procedura di infrazione che potrebbe portarci ad una maximulta.

Anche sui balneari si consumano tensioni nella maggioranza. La Meloni premier si trova contro la Meloni leader di partito che da anni promette di fare a pezzetti la direttiva Bolkestein. Ci hanno fatto più campagne elettorali per non parlare delle manifestazioni nelle piazze e nelle strade di tutta Italia. La Meloni premier deve invece incassare e gestire i rimproveri di Bruxelles contro un Paese, l’Italia, dove il potere delle lobby è così alto da far cadere i governi. Ricordiamoci che il 21 luglio, giorno in cui Draghi perse la fiducia al Senato, i palazzi romani erano circondati dai tassisti. C’erano nuove regole anche per loro nel ddl sulla Concorrenza che il governo Meloni sta smontando pezzo dopo pezzo: il catasto, gli ambulanti, le concessioni.

In questo iato si infila come sempre Salvini e questa volta anche Forza Italia. Per far vedere che non stanno fermi e che sono consapevoli della situazione, la scorsa settimana il senatore Gasparri, in buona compagnia, ha scritto una lettera alla premier per invitarla “ad uscire dall’inerzia” e procedere subito “con la mappatura delle concessioni”, fotografia necessaria per poi organizzare e stabilire i criteri dei bandi di gara. Specchietti per le allodole. Scuse, come quella per cui l’applicazione della Bolkestein avrebbe aperto la porta “alle multinazionali straniere schiacciando i piccoli operatori”. La mappatura del demanio marittimo infatti esiste già, si chiama SID (sistema informatico del demanio marittimo) e non può essere invocata per chiedere altro tempo e nuovi rinvii.

È proprio questa inaffidabilità che mette l’Italia a rischio Pnrr. Le riforme sono importanti tanto quanto i cantieri da aprire perché sono il presupposto di un paese che cambia e che lo fa per sempre. Non averle fatte – giustizia, concorrenza, semplificazioni (importante per questo il decreto Pnrr approvato ieri in via definitiva alla Camera) – rende l’Italia meno affidabile. Soprattutto nella gestione delle prossime rate del Pnrr. Sempre che venga sbloccata la terza. C’è il Pnrr, c’è il Mes, c’è il Patto di stabilità da riscrivere che, da quel poco che filtra, difficilmente andrà verso la flessibilità richiesta da palazzo Chigi. Non è Bruxelles che ce l’ha noi. Bruxelles però può stufarsi della eccezione Italia.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.