La riforma giustizialista della prescrizione dei reati voluta dall’ex ministro della giustizia Bonafede, che sostanzialmente prefigura, dopo la sentenza di condanna o di assoluzione di primo grado, la possibilità per i reati puniti con l’ergastolo di mantenere in vita il processo senza alcun termine finale, sta per cadere ingloriosamente. Si dovrebbe tornare a un sistema che prevede, dopo la sentenza di primo grado, termini massimi di durata per le fasi successive, indicati nella misura di due anni per il giudizio in appello e di un anno per il giudizio in cassazione, prorogabili rispettivamente sino a tre anni e sino ad un anno e sei mesi nei casi di particolare complessità. Per quanto riguarda invece la durata delle indagini preliminari si propone un periodico controllo del giudice sull’attività del pubblico ministero, che può essere invitato a concludere le indagini con la richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione.

Parto dalla particolare vicenda della prescrizione perché, grazie alla perfetta accoppiata Draghi-Cartabia, il delicatissimo tema della riforma della giustizia penale è passato dalla follia alla realtà, dal dilettantismo propagandistico a un responsabile e misurato programma volto a uscire, a piccoli passi, dalla profonda crisi in cui versa da decenni il sistema della giustizia penale italiana. Anche grazie al prezioso lavoro preparatorio svolto dalla Commissione ministeriale presieduta dall’ex Presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi, il programma della ministra della giustizia Marta Cartabia tocca i nodi di fondo del sistema penale, sia sul terreno sostanziale dei reati, delle pene e della loro esecuzione, sia su quello processuale.

Non è possibile in questa sede esaminare punto per punto il programma che il governo ha sottoposto all’esame del Parlamento sotto forma di emendamenti al disegno di legge a suo tempo presentato dall’ex ministro Bonafede. Mi limiterò quindi ad alcuni aspetti particolarmente rilevanti e significativi. Direi che sul terreno del diritto penale sostanziale l’obiettivo di fondo è di creare un sistema sanzionatorio che non abbia più quale pena principale il carcere, bensì misure sostitutive e alternative alla detenzione. Tali misure già esistono, e sono normalmente applicate dopo la condanna dal tribunale di sorveglianza, durante l’esecuzione della pena in carcere. Si tratta, come è noto, della liberazione anticipata, affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare. Il programma di riforme si propone di ampliare robustamente la sfera di applicazione di tali misure, sia a condannati a pene di più lunga durata, sia per reati di maggior gravità, tenendo conto in concreto delle condizioni di minore pericolosità del destinatario delle misure alternative. Viene inoltre anticipata la possibilità di concederle anche dal tribunale che pronuncia la sentenza di condanna, mentre ora attribuite alla competenza del tribunale di sorveglianza nel corso dell’esecuzione della pena detentiva.

In estrema sintesi un articolato programma di “fuga dal carcere” e di esecuzione della pena in libertà, che dovrà essere accompagnata da opportune forme di controllo e di assistenza, certamente meno onerose dei costi della custodia in carcere e più idonee a realizzare la finalità costituzionale della rieducazione del condannato. Sempre sul terreno del diritto penale sostanziale va segnalato il rafforzamento dell’istituto dell’estinzione del reato per la particolare tenuità del fatto, già previsto dall’art. 131 bis del codice penale per reati puniti con pena non superiore nel massimo a cinque anni, mentre ora ne viene proposta l’estensione con riferimento non più al massimo, ma al minimo della pena (individuato in misura non superiore a due anni di reclusione), in quanto indice più significativo della gravità del reato. Nelle prassi giudiziarie le pene applicate in concreto dal giudice sono infatti più vicine ai minimi che ai massimi della sanzione prevista dal codice penale per i singoli reati.

Quanto al processo penale individuerei il tema di fondo della riforma nell’obiettivo della “fuga dal dibattimento”, cioè nel potenziamento di vari istituti già previsti nell’attuale sistema per chiudere il processo prima della fase dibattimentale (i c.d. procedimenti speciali), molto più gravosa in termini di dispendio di tempo e di impiego dei giudici e dei pubblici ministeri. In quest’ottica sono previste misure per incentivare il ricorso al c.d. patteggiamento (cioè l’accordo sull’entità della pena che difensore e pubblico ministero propongono al giudice e che, se accolto, pone termine al procedimento), a cui si potrebbe fare ricorso anche per reati di maggiore gravità. Lo steso vale per il giudizio abbreviato, che normalmente si svolge su richiesta del difensore nell’udienza preliminare, evitando così il dibattimento: questo procedimento speciale viene incentivato proponendo una ulteriore riduzione della pena rispetto a quella che sarebbe comminata dal giudice del dibattimento.

Del tutto nuovo è invece l’istituto denominato “archiviazione meritata”: per reati di non rilevante gravità, alla fine delle indagini preliminari l’imputato può offrire di svolgere prestazioni in favore della persona offesa dal reato o della collettività; la proposta, se accolta al giudice, comporta l’archiviazione per estinzione del reato. Si rientra così nella sfera della c.d. giustizia riparativa, che è ai primi passi nel sistema processuale italiano, mentre ha già una lunga e positiva tradizione in numerosi paesi europei. Più di tanto, in questa prima fase del processo riformatore, credo non si possa dire: i temi sono giuridicamente delicati e complessi e la tentazione di trasformarli in motivi di scontro politico, come è avvenuto impropriamente per la prescrizione, è molto forte.

In vista del dibattito parlamentare sul programma di riforme della giustizia penale, si spiega così l’accorato appello del Presidente del consiglio Draghi alla lealtà delle forze politiche della maggioranza di governo. Sono decenni che analoghe riforme vengono invano proposte dalla cultura processual-penalistica e dagli operatori giudiziari più responsabili: questa potrebbe essere la volta buona, ma i timori che il passaggio in questo Parlamento si risolva in un grande disastro sono purtroppo seri e fondati. Speriamo in bene.