«I candidati farebbero bene a non vergognarsi della politica. Perché il fatto che un aspirante sindaco sia un imprenditore o un magistrato, anziché un quadro di partito, non rappresenta una garanzia per gli elettori»: Gennaro Carillo, docente di Storia delle dottrine politiche all’università Federico II e di Storia del pensiero politico al Suor Orsola Benincasa, ha le idee chiare sul dilagare del civismo al quale Napoli sta assistendo.

Catello Maresca, candidato sindaco supportato (probabilmente) dal centrodestra, si professa civico. Il suo competitor Antonio Bassolino, pur essendo stato un esponente di primo piano del Pci e del Pd, si dichiara civico oltre che politico. E persino Gaetano Manfredi, la cui candidatura a sindaco è frutto del patto tra Pd e M5S, sembra evitare riferimenti ai partiti. Simile è l’approccio di Alessandra Clemente e Sergio D’Angelo. Quasi come se i protagonisti del dibattito pubblico provassero vergogna per le rispettive appartenenze politiche.

Professore, che cosa le suggerisce questo continuo riferimento al civismo?
«Si tratta dell’ennesima prova della crisi della democrazia rappresentativa. Una crisi di lungo periodo e di sistema, frutto di pessime leggi elettorali e di scellerati criteri di selezione del personale politico. Il richiamo al civismo è un sintomo di questa malattia al pari di populismo e tecnocrazia».

A Napoli due movimenti civici hanno rianimato, nei mesi scorsi, il dibattito sull’amministrazione. Al momento, però, non hanno espresso alcun candidato: è un segno di debolezza?
«No, anzi. Dopo anni in cui noi napoletani abbiamo assistito a monologhi e a scontri infantili tra il sindaco Luigi de Magistris e il presidente della Regione Vincenzo De Luca, lo sforzo di stimolare un confronto pubblico sulle condizioni della città è positivo. Ma i candidati dispongono della capacità di ascolto indispensabile per fare tesoro di quegli stimoli e tradurli in azione politica concreta?»

È scettico?
«Purtroppo sì. Napoli è una città molto meno immobile e più ricca di fermenti di quanto si pensi. Il problema è che la politica locale ha da tempo smesso di visitare musei, ammirare mostre, ascoltare musica. Ha perso il contatto con la realtà. E il viaggio nel surreale spinto, di cui la comunità è stata suo malgrado protagonista negli ultimi dieci anni, ne è la dimostrazione».

C’è un rischio nel richiamo al civismo e nel parallelo ripudio della politica?
«Il rischio è che il civismo diventi l’ennesima bandiera dell’antipolitica in un momento storico in cui, tra l’altro, Napoli ha bisogno di una politica nuova, all’insegna del rigore e della dignità. Per dieci anni abbiamo assistito alla politica urlata e spettacolarizzata di de Magistris che ha prodotto risultati modesti in termini di amministrazione. Ecco, non abbiamo bisogno di questo ma di persone serie, rigorose, capaci anche di mantenere un basso profilo».

A chi si riferisce?
«A Gaetano Manfredi che, si badi bene, è un candidato politico a tutti gli effetti. L’apertura della Apple Academy e l’incremento delle borse di studio per le specializzazioni in medicina sono risultati che ha ottenuto svolgendo ruoli diversi, ma eminentemente politici. E io non ho bisogno di rubricare Manfredi come candidato civico per accordargli fiducia perché il fatto che un candidato non sia inquadrato in questo o in quel partito non rappresenta una garanzia di affidabilità».

Quindi sbagliano anche Bassolino, Maresca e gli altri?
«Bassolino dovrebbe rivendicare con orgoglio il suo carattere politico: è stato un ottimo sindaco proprio perché era ed è un ottimo politico. Clemente, assessora uscente, è totalmente ascrivibile a una comunità politica. Quanto a Maresca, se non si considera politico, rifiuti i voti dei partiti; altrimenti capisca che continuare a proclamarsi civico dopo essersi candidato a svolgere un ruolo politico, cioè di servizio alla comunità, è un mero artificio retorico. C’è poco da fare: la candidatura è un atto politico, non può avere un carattere tecnico».

Insomma, la politica fagocita il presunto civismo sempre e comunque?
«Direi che la politica assorbe il civismo. E per evitare che ciò accada non basta nemmeno distinguere la politica dai partiti. Guardi me: non ho una tessera di partito ma, nel momento in cui insegno, svolgo una funzione eminentemente politica. D’altra parte la parola “civismo” rimanda alla civitas che altro non è che la traduzione latina della polis. Anche seguendo questo ragionamento si comprende come il civismo non possa essere svincolato dalla politica. Certi candidati farebbero bene a rispolverare la cultura classica per farsene una ragione».

Del civismo, dunque, non sa che farsene…
«Non so che farmene del civismo camuffato, contraffatto o “pezzottato”, come si direbbe a Napoli, cioè quello in cui continuano a muoversi persone che hanno grufolato per anni nella greppia della peggiore politica di cui sono e restano articolazioni periferiche. Quel civismo può solo diventare la bandiera dell’antipolitica. Di civismo vero, invece, c’è bisogno tra i cittadini: a Napoli serve una borghesia civica, cioè non predatoria, non collusa con le mafie attive dalle nostre parti, ma capace di fare una corretta raccolta differenziata, di non parcheggiare in doppia fila e di partecipare a quel grande esercizio di democrazia collettiva che è la vaccinazione di massa. Questo è il civismo che serve a Napoli: una comunità in grado di rispettare le regole del vivere civile».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.