"Servono delle deroghe alla normativa"
Giansanti (Confagricoltura): “Dazi emergenza straordinaria più del Covid, chiediamo flessibilità”

«Il presidente Trump deve ricordarsi che l’Unione europea è una potenza economica di 450 milioni di persone che fanno uso anche di prodotti americani. Capisco le sue posizioni, ma alzare troppo i toni non aiuta». Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura e Copa, l’associazione che riunisce le principali organizzazioni agricole in Europa, commenta le ultime uscite del presidente Usa sui Paesi che «gli baciano il c**o per negoziare». «Si sta andando sopra le righe. Imprenditori e cittadini di tutto il mondo cercano invece stabilità».
Presidente, il governo italiano ha creato la task force di sostegno alle imprese. È quello che vi serve?
«È quello che avevamo chiesto. Un segnale di pragmatismo. Dobbiamo capire, però, di che portata sarà la risposta unitaria dell’Europa».
Questi 25 miliardi messi sul piatto bastano? Quanti ne servirebbero all’agrifood?
«Così, su due piedi, le direi 14 miliardi. Più risorse ci sono, meglio è. Questa è un’emergenza straordinaria, i cui effetti economici possono superare quelli del Covid. Confagricoltura si augura che l’Europa riesca a individuare gli strumenti più adeguati di intervento».
Nel dettaglio?
«Serve flessibilità sulle misure esistenti. Oggi abbiamo delle risorse che potrebbero essere ricollocate velocemente per ampliare e promuovere i nostri prodotti. Sia sul mercato americano sia altrove. Ma ci vogliono delle deroghe alla normativa. Serve un nuovo temporary framework. All’interno delle politiche di indirizzo comune, i singoli Paesi membri devono disporre degli strumenti più adeguati di sostegno alle imprese. Bisogna evitare che ciascuno agisca secondo la propria capacità di spesa. Altrimenti si creano velocità diverse all’interno del mercato comune».
Quindi è giusto dirottare i fondi del Pnrr?
«Se sono risorse che rischiano di non essere spese, sì. Ma prima è importante che la Commissione europea definisca il quadro finanziario 2027-‘33 (entro giugno, ndr) e così faccia una verifica delle risorse per i singoli Stati membri».
Altre soluzioni? Fare altro debito?
«Anche questa è un’opzione. L’emissione di debito pubblico potrebbe sostenere l’economia europea nella sua generalità».
Voi vi sentite il settore più a rischio?
«Questa è un’emergenza di tutte le filiere produttive. Siamo tutti colpiti nella stessa misura. Noi, la moda e tutti gli altri».
L’agrifood italiano è il primo esportatore Ue negli Usa. Con 7,3 miliardi di dollari, abbiamo superato la Francia. Oggi questo sembra un handicap.
«Il mercato americano, dopo quello europeo, è il nostro principale referente. Sia per i prodotti premium, sia per quelli a largo consumo. È un mercato maturo, dove abbiamo investito molte risorse e speso molto tempo. Abbiamo costruito un rapporto di fiducia con consumatori, distributori e importatori. Gli Stati Uniti oggi apprezzano le caratteristiche del prodotto italiano perché è legato alla qualità delle produzioni, agli aspetti salutistici e al forte legame con la tradizione».
Ma…
«Ma proprio per questo sono insostituibili. Ora, è vero che gli effetti dei dazi sui prodotti premium e super premium sarà contenuta. Il problema nasce però con i tassi al 10% dei nostri competitor, che importano negli Usa vino, olio e prodotti ortofrutticoli. La vicina Turchia è molto competitiva su alcune produzioni mediterranee. Argentina, Australia e Cile sono stati tutti daziati al 10%. Contro il 25% per l’Ue. I danni per l’Italia possono venire da questi mercati».
Può essere utile diversificare?
«Come ho detto, non c’è un consumatore come quello americano. Con il crollo delle Borse di questi giorni, una famiglia media Usa ha perso in media 40mila dollari. Già questo rende l’idea della loro disponibilità di spesa. In Sud America o in altre parti del mondo non abbiamo un mercato con le stesse caratteristiche. Economiche e di modello alimentare».
Torniamo in Europa, presidente. Un anno fa i trattori bloccavano Bruxelles. Sono cambiati i rapporti tra l’agricoltura e l’Ue da allora?
«Dopo il voto, il rapporto è certamente migliorato. Le proteste hanno generato pragmatismo. Che oggi si respira soprattutto nel Parlamento europeo. Con la Commissione qualcosa sta cambiando. A febbraio, il commissario Hansen ha presentato la sua “Visione strategica per il futuro dell’agricoltura”, che getta le basi per la Pac post-2027 e dove ci sono elementi che ci aspettavamo. La prova del fuoco sarà quando la Commissione definirà la futura politica agricola comune. Se si andrà verso il fondo unico nazionale, i trattori saranno pronti a scendere in piazza di nuovo. Una nuova fase di rinazionalizzazione dei processi e delle risorse per la filiera è impensabile».
C’è chi propone di bloccare il Green Deal. Che nei vostri riguardi non è stato tenero. È una giusta soluzione? Si può salvare qualcosa?
«Il Green Deal va mantenuto nelle parti dei risultati raggiunti. Gli obiettivi di sicurezza alimentare e standard di benessere animale non dovranno essere oggetto di negoziazione con gli Stati Uniti. Altre misure vanno riviste assolutamente. Penso ai trattori elettrici finanziati con il Pnrr, ma che sul mercato non esistono nelle caratteristiche che ci servono. Ecco, lì si deve intervenire. Come altrove».
Chiudiamo con Vinitaly. È stato un successo oppure Trump ha rovinato la festa?
«Vinitaly rimane una vetrina mondiale per la promozione delle nostre aziende vitivinicole. Tuttavia, quest’anno si è respirata anche preoccupazione. È inevitabile. Gli Usa sono un mercato insostituibile nel breve».
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