È adeguata la definizione di Stati generali per lo spettacolo che si sta svolgendo negli ampi spazi di Villa Pamphili? Qualcuno ha scritto: «non Stati generali, ma stati generici», accogliendo così le critiche prevalenti nella stampa nazionale. Generici, perché niente verrà deciso, tutto sarà sommerso, con gran probabilità, in un mare di chiacchiere prive di quella operatività che latita già oggi in modo clamoroso.
Ora, questa dimensione è di sicuro ben visibile, ma non è quella che vorrei privilegiare. Io li chiamerei Stati “di” Conte, con una “di” che indica proprietà privata dell’avvocato, senza finalità sociali. Sono la sua apoteosi, quella di un sovrano assiso su un trono di cartapesta, ma pur sempre trono, un episodio di furberia nei tempi in cui il pensiero è debole e perciò la furberia domina. Conte su tutto, presidente di tutti i consigli, purché siano da lui presieduti; a Parlamento chiuso e ignorato; l’insieme poggia su un fondamento di cartapesta, che però regge nell’assenza, paradossalmente consolidata, di strutture solide.

Da dove proviene questa dilapidazione della politica? Da cose che riguardano, certo, congiunture diffuse nel nostro tempo, ma che da noi assumono caratteri speciali. Tutto nasce da piazze gremite e da un comico che urla contro la casta. Da lì, il diluvio del marzo 2018 su una Italia pronta a riceverlo. La storia nazionale prevede anche questo. Poi giunge l’altro evento: il passaggio di consegne dal governo Conte-Salvini-Di Maio a quello Conte-Franceschini-Di Maio, dove il cambiamento del nome mediano è decisivo, uno schiaffo un po’ immondo alla politica che diventa una cosa da burla, una commedia di Feydeau dove gli scambi di persone sono premessa di eventi esilaranti. Da allora è potuto accadere di tutto, e proprio da allora l’avvocato è apparso come inossidabile. Mutati i toni e le maggioranze, restano intatte le decisioni più significative del governo precedente: niente riforme dei decreti di Salvini; chiusi i porti; si assiste alla ulteriore distruzione della giustizia e della funzione giurisdizionale sotto i colpi coordinati del ministro Bonafede e di una parte ampia della magistratura. Insomma, si sta vivendo la crisi profonda dello stato di diritto, e i cittadini stanno diventando sudditi.

Conte, intanto, diventa padrone del vapore. Una desolata anomalia che segna la fisionomia dell’Italia di oggi, dove vediamo lo stato preagonico del pd, svuotato di qualsivoglia abbozzo di idee; i 5stelle, dalla canna del gas dove a stento respiravano, ritornano nella luce proiettata su di loro dall’avvocato; il centrodestra è in dissoluzione ormai dichiarata, e Berlusconi fa anticamera a Palazzo Chigi in attesa di essere accolto. L’Italia già viveva la sua crisi più profonda da anni; poi, nel bel mezzo di essa, è arrivata la pandemia. Conte si autoproclama, per i provvedimenti presi, come il modello per tutti gli altri stati colpiti dalla malattia, pur nella rissa fra Stato e regioni, pur dopo oltre trentacinquemila morti, pur dopo gravi mancanze oggetto di indagini. Gli Stati “di Conte” nascono da questo insieme di cose, ma anche la mia definizione è parziale: è impossibile definirli con una sola espressione. Anche scontato il loro esito, il nuovo sovrano di cartapesta terrà in mano l’Italia per un tempo comunque troppo lungo. Speriamo che dopo troveremo ancora qualcosa da cui ripartire.