Appena l’argomento dell’invio delle armi alla Resistenza Ucraina si affaccia alla mente riaffiorano le emozioni provate durante la lettura delle pagine sul Risorgimento e sulla Resistenza. Non fu tutto oro, ma certamente siamo figli di quelle vicende. Sembra, allora, che contro l’invio di armi agli Ucraini non vi siano argomenti che tengano. Ma basta vedere le immagini della guerra per ricadere nel dubbio: una umanità dolente, fatta soprattutto di vecchi, di donne e di bambini, alla mercè delle esplosioni e delle violenze. E non possono non tornare in mente le parole di Gino Strada, il quale denunciava che le guerre le patisce soprattutto la povera gente. Coloro per i quali è indifferente chi le vince e chi le perde, tanto la loro condizione resta sempre la stessa.

Ma in questo caso, si ribatte, è tutto un popolo che vuole combattere per la sua indipendenza. Anche i vecchi e i bambini? Diventa, comunque, per chi vuole decidere da che parte stare un ginepraio, nel quale domina l’angoscia di vedere che tutte le posizioni sono strade lastricate di dolore. Beati i lettori di quei giornali, che offrono granitiche certezze sulla ineluttabilità del conflitto armato! Ci sono, tuttavia, alcuni aspetti di questa carneficina, rispetto ai quali è certamente più agevole prendere una posizione netta. In primo luogo, e non può esservi alcun dubbio, va messo sul banco degli imputati Putin. È l’aggressore. Per giunta un aggressore di inaudita barbarie, che non ha esitato a macchiarsi di crimini orrendi pur di perseguire i suoi disegni di potenza. I crimini di guerra commessi sul suolo ucraino lo condannano a restare confinato per sempre in una delle pagine più nere della storia.

In secondo luogo, vi è Biden e, con lui, tutto il partito democratico americano, che va messo sotto accusa. L’enorme sostegno militare e finanziario che gli Stati Uniti stanno dando al governo legittimo di Kiev appare condizionato, in modo decisivo, dall’esigenza di invertire le attuali tendenze elettorali, che preannunciano una sonora sconfitta per il partito democratico alle elezioni di medio termine. Dopo la disastrosa ritirata dall’Afghanistan, che ha fatto crollare ai minimi termini la popolarità di Biden e con lui dei democratici, la guerra in Ucraina è apparsa una opportunità troppo ghiotta per non essere sfruttata per recuperare il consenso perduto. Si è così passati da un sostegno meramente difensivo all’esercito ucraino ad un sostegno offensivo per poter ribattere colpo su colpo e, oggi, ad un sostegno diretto a portarlo addirittura alla vittoria. Costi quel che costi, sia in termini di vite umane e sia in termini di rischio di escalation del conflitto. Del resto, anche Johnson in Inghilterra ha trovato, nella guerra in Ucraina, una inaspettata occasione per distogliere l’attenzione degli elettori dai suoi scandali.

Ma qui sta il punto! È mai concepibile, e per giunta da parte di chi si dichiara “democratico”, che la vita e la morte di intere popolazioni dipendano da meschini calcoli elettoralistici? È mai possibile che negli anni 2000, dopo i massacri insensati del ‘900, nelle democrazie liberali sia ancora consentito che siano inflitte sofferenze agli altri popoli al solo scopo di conquistare consenso in patria? Dalla guerra in Iraq, dichiarata sulla base di un falso, alla aggressione della Libia di Gheddafi, si è assistito negli ultimi decenni ad un uso della guerra assolutamente spregiudicato, basato sulla pretesa di poter infliggere sofferenze agli altri popoli per meri volgari calcoli elettorali interni. Non è, anche questo, un crimine contro l’umanità?

In terzo luogo, vi è l’Europa. Che ha la colpa di non essere ancora venuta ad esistenza, nonostante i decenni ormai passati da quando il progetto europeo ha iniziato a prendere forma. In un mondo, nel quale la globalizzazione ha reso le nazioni più piccole sempre più irrilevanti, le nazioni che compongono l’Europa continuano a vivere una sindrome campanilistica paragonabile solo alla frantumazione in mille staterelli, che rese l’Italia, dopo la dissoluzione dell’Impero Romano, terra di conquista per le grandi potenze europee. Si è gridato al miracolo per la tempestività con cui sarebbero state adottate, dall’Unione Europea, le sanzioni contro la Russia. Ma non si è considerato che si è trattato di un atteggiamento gregario verso gli Stati Uniti, certamente insufficiente a coprire il vuoto di iniziativa politica delle istituzioni europee. D’altra parte, quale iniziativa avrebbe mai potuto prendere una Europa, nella quale gli egoismi nazionali continuano largamente a prevalere?

Infine, la guerra in Ucraina solleva il velo su di una questione che troppo a lungo è stata tenuta colpevolmente sottotraccia. Quella del rapporto tra populismo e regimi illiberali. Ora che i paesi occidentali si trovano a dover fronteggiare la Russia di Putin, sorge inevitabilmente il problema di quale sia la posizione di quegli spezzoni di tanti paesi che hanno stretto rapporti di collaborazione o addirittura di solidarietà con quel regime. Si è, così, constatato che i regimi illiberali hanno individuato nei movimenti populisti che hanno attraversato e attraversano le società occidentali, un alleato formidabile, capace di erodere dal di dentro le democrazie liberali, sfruttandone la tolleranza e la libertà di espressione. Di qui un sostegno che non è stato solo finanziario: si pensi all’utilizzo dei social per condizionare e orientare l’opinione pubblica. Emblematico è quanto è emerso relativamente alla Brexit.

A questo punto deve essere chiaro che per un partito o un movimento politico, operante in un paese di democrazia liberale, accettare il sostegno, sia esso finanziario o di qualsiasi altro tipo, di un regime illiberale è una forma di tradimento. Significa accettare di essere, consapevolmente, strumento di attuazione della politica di una potenza, che ha una visione della libertà e dei diritti dell’individuo totalmente diversa da quella del paese di appartenenza. In definitiva, la guerra in Ucraina è capace, da un lato, di far esplodere, in ciascuno, dubbi e contraddizioni anche laceranti, ai quali è difficile dare soluzione. Dall’altro, tuttavia, offre l’occasione di fare chiarezza su di una serie di punti fondamentali per il futuro delle società occidentali.