È stato chiesto a Gratteri: cos’è la cultura manettara? Ha risposto che non esiste e che il problema sono i politici impuniti. Gli hanno chiesto cos’è la cultura del sospetto. Ha risposto che è quella cultura che non si fida dei magistrati. Gli hanno chiesto se 1000 arresti di innocenti all’anno non sono un fatto grave. Ha risposto che è un fatto fisiologico. Ma tutte queste cose sono state dette nella più assoluto clima di normalità. L’idea è che Gratteri stesse solo spiegando il punto di vista della giustizia. Nessuno gli ha chiesto se è una cosa normale che in poche settimane il tribunale del riesame abbia trovato errori e annullato o modificato 140 misure cautelari su circa 250 esaminate, nessuno gli ha chiesto come mai recentemente la Corte di Cassazione ha indicato in un suo cattivo pregiudizio (suo di Gratteri)  la misura che ha azzoppato l’allora presidente della Regione Mario Oliverio, escludendolo dalla campagna elettorale, nessuno gli ha chiesto come andò quella volta che fece arrestare 200 persone, in una notte, in un paesino di 2000 anime, e poi 192 risultano non colpevoli, nessuno gli ha chiesto se è vero che solo per avere gli atti dell’inchiesta Rinascita Scott (decine di migliaia dii pagine) un povero imputato deve pagare più di 30 mila euro di carte da bollo.

E quando lui ha chiesto ai giornalisti di fargli un caso di magistrati che avevano usato la loro attività professionale per passare alla politica, e il direttore di Libero gli ha fatto i nomi di De Magistris e di Emiliano, lui ha risposto: “solo due”. Per fortuna Da Milano – si proprio il mite Da Milano – gli ha fatto notare che veramente, se non fosse stato per il no secco di Napolitano, lui sarebbe passato direttamente da un posto di Pm a ministro della Giustizia.

Voi dite: niente di nuovo. Gratteri è Gratteri. Vero. La novità – immagino – sta nello scontro che si è aperto nella magistratura. Gratteri, insieme a Davigo, a Di Matteo, a Travaglio (pm aggiunto) rappresenta un settore della magistratura convinto e arciconvinto che l’Italia si salva solo se i magistrati riescono a rimpiazzare la politica. A purificarla e in parte a sostituirla. Finora questa componente (che noi chiamiamo il PPM, partito dei Pm)  ha avuto l’esclusiva della rappresentanza della magistratura. E la stessa Anm, e anche il Csm, sono andati al seguito. L’apertura dell’anno giudiziario quest’anno è stato come uno squillo di tromba imprevisto. I magistrati non solo tutti gratteriani. E la reazione è stata immediata. La forza del PPM sta nella capacità di colonizzare i mezzi di informazione. La forza dei suoi avversari sta nel diritto. C’è da essere ottimisti? Beh, no.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.