Chissà se Lilli Gruber, nella cui trasmissione “Otto e mezzo” il procuratore Gratteri è atteso, perché, quando ha saputo del nuovo libro sulla ‘ndrangheta si è prenotata per prima, mentre Floris non l’ha neanche invitato, gli farà subito una domanda su Marcello Manna. Se non sa chi sia, non si può sapere tutto, ci permettiamo di spiegarlo alla giornalista. Non al dottor Gratteri, che conosce benissimo il sindaco di Rende, cittadina del cosentino, visto che ha contribuito al suo arresto, in piena campagna elettorale e in compagnia di qualche centinaio di mafiosi, o presunti tali. ‘Ndranghetista doveva essere anche l’avvocato Manna, secondo la Dda di Catanzaro, ma anche secondo il gip Alfredo Ferraro.

Associato ai boss criminali e anche sospettato di voto di scambio alle elezioni comunali del 2019, quando fu eletto sindaco. Il tribunale del riesame, che lo ha scarcerato il 29 settembre, dopo un mese di detenzione domiciliare, nelle motivazioni depositate in questi giorni dà un vero schiaffo al binomio pm-gip, i cui visi dovrebbero coprirsi di rossore. I giudici fanno due diverse riflessioni. Prima rilevano che non ci sono gli estremi per l’imputazione di associazione mafiosa con voto di scambio, “difettando, allo stato, qualsivoglia elemento su cui fondare la partecipazione del ricorrente a tale specifico accordo illecito”. Poi il vero affondo: caro Gratteri, caro Ferraro, sappiate che, nel caso dell’avvocato Manna, “si riscontrano addirittura elementi contrari alla sussistenza di tale sinallagma”. Quindi, si deduce che, se il sindaco di Rende non è un mafioso, “al contrario” è uno che la mafia la combatte. E se non ha messo in atto, quando si è candidato, il voto di scambio, vuol dire che, “al contrario”, se qualcuno glielo avesse proposto lo avrebbe respinto con sdegno. È stato dunque arrestato come mafioso uno che è l’opposto di un boss, di un criminale.

Senza voler indossare le vesti della pubblica accusa, e senza voler rubare il mestiere a chicchesia, una volta ancora ci domandiamo se chi di dovere, per esempio il Csm, si renda conto delle modalità con cui viene amministrata la giustizia in Calabria. Il procuratore Gratteri è un grande lavoratore, e anche un bel personaggio, così dicono quelli che l’hanno incontrato in questi giorni, e trova il tempo per fare tante cose, un vero multitasking. Ha scritto l’ennesimo libro sulla ‘ndrangheta, senza rendersi conto che i suoi testi sono tutti uguali, e si appresta a presentarlo in diverse trasmissioni (caro Floris, affrettati, se non vuoi essere tagliato fuori). Poi ha inaugurato, con la civetteria del capomastro e alla presenza del ministro Carlo Nordio, la nuova sede della procura di Catanzaro, da lui voluta e realizzata in sei anni. Poi ancora è volato a Milano, per un evento all’interno di San Vittore, dove non ha dimenticato di raccomandare la costruzioni di nuove carceri. Il tema deve stargli particolarmente a cuore. Non useremo la cattiveria di ricordargli che lui contribuisce sensibilmente al sovraffollamento degli istituti penitenziari.

Piuttosto vorremmo discutere con il nuovo ministro guardasigilli se a presiedere il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sia opportuno collocare un pubblico ministero che, per quanto prestigioso, ha fatto riempire così spesso le carceri di innocenti. Il caso del sindaco Manna non è così peregrino. Segue uno schema già noto. Con immodestia, possiamo ricordare che lo scorso 2 settembre, all’indomani del blitz chiamato “Reset”, avevamo scritto “prima o poi il reato associativo cadrà, soprattutto nell’aggravante di mafia”? Fondamentale, naturalmente, è stata la capacità degli avvocati Nicola Carratelli e Gian Domenico Caiazza, che avevano saputo presentare ai giudici quella documentazione che né il pm né il gip avevano trovato il tempo di esaminare, prima di puntare il dito contro il solito “pesce grosso”, che in queste inchieste non manca mai.

Ma altre due particolarità usuali in terra di Calabria avevano caratterizzato l’inchiesta “Reset”. La prima è che è stata costruita a tavolino nell’arco forse di qualche anno. Il procuratore Gratteri l’aveva presentata come “..la più estesa indagine su Cosenza” che “riguarda un’associazione mafiosa”, e aveva impegnato i suoi uomini ad armarsi di ago e filo per cucire insieme una serie di altre piccole o medie inchieste. Così ha creato il prossimo maxiprocesso, visto che il primo, “Rinascita Scott”, sta mostrando seri problemi procedurali. La seconda questione riguarda l’insofferenza del dottor Gratteri nei confronti della legge sulla presunzione di innocenza e la regola che dovrebbe rompere le tradizionali conferenze stampa con tanto di fanfare e gogne garantite agli arrestati. Non posso parlare, aveva lamentato il procuratore il giorno dell’arresto dell’avvocato Manna, giocando a rimpiattino con l’incontro con i giornalisti. Ma intanto era già uscita l’intera ordinanza del gip. Altro che silenzio stampa. A magistrati di questo tipo può essere affidata la vita dei detenuti?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.