Non è colpa della società corrotta e impunitista se bisogna dare il credito che merita (nessuno) alle invocazioni di specchiatezza e onestà fondate sulle vaghe dichiarazioni di un pentito, o sul colpevolismo giacobino che affibbia a un politico la responsabilità di sodalizi criminosi perché in una sua azienda era impiegata la figlia di un boss (concorso in assunzione parentale, pressappoco).

Eppure, a meno di novità che probabilmente non mancheranno di aggiungersi, pare che siano questi gli impedimenti che si frappongono alla nomina a sottosegretario di un parlamentare calabrese di Forza Italia, Giuseppe Mangialavori. Del quale francamente noi non sappiamo nulla, salvo che non è indagato (il che dovrebbe dire qualcosa, se non si vuol credere che sia l’ennesimo colpevole che la sta facendo franca), e salvo che, come riferisce il Fatto Quotidiano, il suo nome è comparso “nelle carte degli inquirenti coordinati dal procuratore Nicola Gratteri” (il che, vista l’identità del coordinatore, non proprio recordman di indagini azzeccate, e vista la fonte che ne riporta le gesta, dice molto più che qualcosa).

Inutile precisare che questo politico potrebbe essere in ipotesi il peggior manigoldo, come i tanti che in ipotesi avrebbero potuto esserlo ma, pur non essendolo, sono stati mascariati da vociferazioni inidonee a provare alcunché ma ottime per rovinare irrimediabilmente una reputazione e una carriera.

Ma leggere i giornali che se ne sono occupati (Repubblica scrive che “il suo nome compare negli atti giudiziari”, urca, e che “la trasparenza può attendere”, caspita) significa assistere alla solita, mille volte vista operazione di turbativa civile e politica, che ripropone sempre lo stesso modulo allusivo, sempre la stessa grammatica screditante e parecchio vigliacca, sempre la medesima trascuratezza in nome – inutile dirlo – del diritto dei cittadini a essere informati: un diritto soddisfatto dall’accusa in prima pagina e dall’assoluzione tra le notizie sul meteo, col dettaglio che qui siamo addirittura a un passo indietro, manco all’accusa ma solo al chiacchiericcio da sottoscala di procura della Repubblica, la roba da bar ammantata di improbabile lustro da giornalismo d’inchiesta.

Chissà che venga prima o poi un giorno in cui l’informazione dimostrerà di saper lavorare al contrario, facendo le pulci alle verità emergenti “dalle carte” anziché farne veline in favore della compiacenza giustizialista.