«È andata bene, siamo stati pronti e anche veloci. Il clima nel Consiglio dei ministri è di grande entusiasmo pur nella consapevolezza che dobbiamo gestire il periodo più difficile per il Paese». La prima conferenza stampa di Giorgia Meloni premier sono 45 minuti di spiegazioni tecniche e, purtroppo, solo quindici di domande. «Impegni istituzionali», si scusa il nuovo portavoce Fabrizio Alfano. C’è tempo per un piccolo bagno di folla (cori “daje Giorgia”, “grazie grazie” si è schernita lei “non ci sono abituata”) nei cento metri tra la Sala Polifunzionale e l’ingresso di Palazzo Chigi.

Ora, a voler fare l’analisi logica di 45 minuti di presentazione dei ben tre decreti approvati – giustizia, sanità, nuovo reato contro i rave party – si può dire che al premier piace vincere facile: norme molto identitarie, di destra, pugno di ferro sui rave party, rinvio dell’entrata in vigore della riforma Cartabia («Nessun rischio per il Pnrr, ce l’hanno chiesto i procuratori generali»), il ritorno in servizio di 15 mila sanitari, tra medici e infermieri, che non si sono vaccinati. «Recuperiamo personale negli ospedali che sono in sofferenza». L’obbligo delle mascherine negli ospedali e nelle Rsa è rimasto. Per fortuna. Il ministro della Salute Schillaci smentisce di aver mai detto il contrario, «mai abbiamo pensato di non andare in questa direzione».

Diciamo che dalle Regioni erano arrivate nelle ultime ore indicazioni precise sul fatto che molti governatori avrebbero deciso comunque di mantenere l’obbligo. E che si sarebbe creato il caos. Meglio evitare. Resta il fatto che la gestione di questa decisione, l’annuncio sabato e il caravanserraglio che si è scatenato sui social senza chiarimenti ufficiali, ha dato l’idea di un governo che cambia rotta rispetto agli ultimi tre anni. «Sulla Sanità, basta decisioni ideologiche, saranno prese solo sui dati, ecco la vera discontinuità», ha precisato il premier. Che equivale a dire che finora sono state prese decisioni ideologiche. Non c’è traccia, nel primo Consiglio dei ministri, di misure economiche che abbiano un qualche impatto sui cittadini. E sulle imprese. Che è stato il chiodo fisso degli ultimi mesi del governo Draghi e anche dei vari leader in campagna elettorale. «Venerdì avremo un Consiglio dei ministri dedicato all’economia», ha promesso il premier.

Vincere facile nel primo cdm: ci sta, a poterlo fare è più che comprensibile. C’è la luna di miele con i propri elettori. «Meloni ha pagato la cambiale elettorale ai no vax», ha detto Federico Fornero (Pd). A chi le ha chiesto in conferenza stampa perché non c’è stata altrettanta decisione da parte del ministero dell’Interno nel far cessare gli inneggianti al Duce domenica a Predappio, la risposta è stata: «Lo Stato c’è e non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Noi interveniamo dove si commettono reati». Un rave party lo è (occupa abusivamente terreni privati e danneggia la proprietà privata). Ma lo sono anche qualche centinaio di persone che si esaltano al grido “Duce-Duce”. Su questi però non è stata alzata neppure l’ombra di un manganello.

Tutto bene, secondo il premier, anche nell’altra parte del Cdm, la nomina dei sottosegretari. «Bel clima, compattezza ed entusiasmo», ha detto Meloni. Ma in questo passaggio il viso era teso e contratto. Non è stato facile, c’era da tenere insieme le questioni di genere, quelle della rappresentanza dei vari territori, la competenza. Soprattutto c’era da “scansare le trappole”. In realtà molte attese sono andate deluse, alcune anche pesanti, politici di nome rimasti fuori da tutto soprattutto dentro Forza Italia, ad esempio Mandelli cui era stato promesso il ministero della Salute e Sestino Giacomoni, entrambi fedelissimi del Cav. Ma lo stesso si può dire di Centinaio (nella Lega), di Rampelli, l’unico dei fondatori di Fratelli d’Italia rimasto dov’era, cioè a fare il vicepresidente della Camera. La squadra è al completo. Fratelli d’Italia prende 18 posti tra viceministri e sottosegretari (7 donne e 11 uomini). Alla Lega vanno 11 posti (3 donne e 8 uomini), a Forza Italia 8 (3 donne e 5 uomini). Su un totale di 39 nomi, 13 donne. Sempre troppo poche, appena il 25%. E dovrebbero essere il 50%. Ma lasciamo da parte il genere.

Una squadra che mostra neppure troppo in controluce tutte le sue crepe. I centristi di Noi Moderati alla fine portano a casa un sottosegretario (Silli agli Esteri) e, fuori quota, Vittorio Sgarbi (alla Cultura). Niente ministeri. Si dice che la “moneta di scambio” sarebbe stato poter fare i gruppi parlamentari in deroga ai parlamentari eletti. Dovrebbe essere questa la scialuppa di salvataggio per blindare la maggioranza nel caso Forza Italia si dissolva. “Più che probabile” dice un ex parlamentare rimasto fuori e a cui era stata promessa la compensazione in un ruolo nel sottogoverno. Sono tanti, nomi alti, nomi che sono la storia del partito. «La vera vincitrice è Marta Fascina», annota uno di loro. Il cosiddetto “ricambio” sarebbe stato deciso dalla compagna del Cavaliere che è riuscito a blindare Sisto e Valentini come viceministri alla Giustizia e al Mise (gli è stata vietata la Farnesina per via dei suoi rapporti con la Russia). Ronzulli che ha dovuto subire l’ennesimo stop ad un suo candidato al sottogoverno, Giuseppe Mangiavalori.

Tra le crepe – e questa neppure controluce – c’è sicuramente il rapporto con la Lega. Finora Salvini non sta sbagliando una mossa e, magari sacrificando qualche fedelissimo, è la vera spina nel fianco di Giorgia Meloni. Nello schema del sottogoverno si nota un marcamento a uomo, a volte anche a tre: all’Interno Molteni (Lega) se la dovrà vedere con Wanda Ferro ed Emanuele Prisco, entrambi Fdi; alla Difesa Matteo Perego (Fi) è blindato da Crosetto e Rauti; all’Economia Giorgetti può contare su Freni (Lega), per il resto è marcato a vista dal viceministro Leo, fedelissimo di Meloni, da Sandra Savino per Forza Italia, Lucia Albano per Fratelli d’Italia. Al Lavoro, casella chiave, la prediletta di Meloni, il ministro Calderone, se la dovrà vedere con il mastino Durigon, ombra del segretario della Lega.

Salvini ha voluto con sé Edoardo Rixi (sarà viceministro), Meloni ha chiuso il Chigi team con Alessio Butti al Digitale e Fazzolari all’Attuazione del programma. Berlusconi ha “vinto” con Barachini all’Editoria. Per il resto si può di che Salvini stia dettando il programma. O, almeno riesce a dare questa impressione. La sua è una tattica precisa: individuare temi identitari e, una volta lanciati, giocare d’anticipo. Lo ha fatto sul Reddito di cittadinanza, sul pugno di ferro sulle navi Ong e sui rave party, sul tetto al contante, sullo stop alle mascherine (che poi è rientrato) e sul rientro dei medici. Lo sta facendo, ieri, sul Ponte sullo Stretto. Ha fatto riunioni al ministero di Porta Pia. Vediamo un po’ se non finisce, a breve, in qualche Consiglio dei ministri.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.