Da ieri mattina il sindaco di Rende Marcello Manna, l’assessore della sua giunta Pino Munno e l’omologo del Comune di Cosenza Francesco De Cicco sono agli arresti domiciliari. In buona compagnia di circa 200 persone accusate di essere mafiose. Benvenuto, primo blitz di campagna elettorale! Come si sentirebbe, il cittadino Nicola Gratteri, qualora fosse candidato, in qualunque lista, alle elezioni politiche del 25 settembre (ma sappiamo che non lo è perché non ci tiene), e vedesse cadere nel bel mezzo della competizione politica, la bomba che la Dda di Catanzaro ha innescato e un giudice fatto esplodere?

Non stiamo parlando di “orologeria politica”, ma di una deflagrazione che ha portato 139 persone in carcere, 51 agli arresti domiciliari e 12 con l’obbligo di dimora in esecuzione di un provvedimento firmato dal gip Alfredo Ferraro che porta la data del 2 agosto. Cioè il giorno in cui il suo ufficio ha trasmesso per l’esecuzione dei provvedimenti un documento di 533 pagine, un decimo di quelle che il procuratore Gratteri gli aveva inviato il 14 dicembre di un anno fa, pagine arricchite con integrazioni a marzo, maggio a giugno di quest’anno. Prima di entrare nel merito, perché guai se nelle maxi-inchieste non c’è, come in questo caso, almeno un sindaco accompagnato da un paio di assessori, osserviamo le date e i tempi della giustizia italiana. Il pubblico ministero manda il malloppo di cinquemila pagine con tutte le richieste nel dicembre 2021. Un documento “aperto”, però, perché lo stesso pm si riserva di centellinare l’accusa con piccole integrazioni. Perché magari arriva un nuovo “pentito” o una nuova intercettazione.

Tanto sappiamo che le indagini sono fatte così: o c’è lo spione o c’è la spiata. Mai che si leggano i bilanci delle società o delle amministrazioni, per scovare le magagne, tanto per dirne una. Quindi il giudice ha avuto più o meno un anno per studiare le carte del procuratore, e poi ha deciso il 2 agosto. Era proprio necessario fare la retata il primo settembre? E perché non il primo ottobre? Ma c’è sempre fretta, perché dalla malattia del Maxi, cui il procuratore Gratteri pare affezionato, gli investigatori non sono ancora guariti. Come da quella della conferenza stampa, ieri prima convocata poi cancellata poi in qualche modo tenuta. Ma la ministra Cartabia e il Parlamento non avevano consentito solo i comunicati del capo della procura? Unico dato positivo, si ritorna finalmente alla buona vecchia intitolazione “Abate più…”.

Casualmente un Abate c’è anche in questa inchiesta, ed è un Fabrizio a guidarne altri 253, il numero degli indagati. Ma il gip è costretto a ricordare i nomi delle precedenti inchieste che il buon Gratteri ha voluto unificare, e allora possiamo anche divertirci: Garden, Missing, Squarcio, Tamburo, Twister, Terminator 2, Terminator 4, Anaconda, Magnete, Telesis, Vulpes, Acheruntia, Nuova Famiglia, Doomsday, Drugstore, Apocalisse, Job center, Testa del serpente, Ouverture. Complimenti per la fantasia, e speriamo che siano stati gli ultimi colpi di coda, la legge sui diritti degli indagati non consente più neppure di giocherellare con le parole sulla pelle degli innocenti. L’inchiesta, come tutti i maxi che si rispettano, ha molte teste. La più rilevante dovrebbe essere quella del narcotraffico, cui sappiamo si dedica ancora abbondantemente, e non solo in Calabria ma prevalentemente nelle regioni del nord, la mafia chiamata ‘ndrangheta, forse l’unica ormai sopravvissuta. Ma potremmo scommettere sui titoli di giornali e tv, perché il boccone grosso è invece un altro, anzi altri tre.

Uno è un avvocato penalista, e chissà perché, il fatto ci ricorda qualcun altro, sempre qui in Calabria, che si chiama Giancarlo Pittelli e che languisce, nonostante l’età e le condizioni psico-fisiche, chiuso in casa, inseguito però dalla perentoria richiesta di Nicola Gratteri perché un giudice lo sbatta di nuovo in uno di quei luoghi di delizia dove dall’inizio dell’anno sessanta persone si sono tolte la vita. L’avvocato si chiama Marcello Manna, e nel maggio del 2019 è stato eletto sindaco della cittadina del cosentino, dopo aver svolto la sua brava campagna elettorale. Quella che, non se la prenda procuratore, avrebbe svolto anche lei qualora fosse stato (ma lei non lo voleva) candidato da un qualunque partito. Magari quello di Matteo Renzi, visto che l’ex premier l’avrebbe voluto al suo fianco nella veste di ministro di giustizia.

Ora, veda, le campagne elettorali sono cose complicate. È molto difficile per esempio, tranne che per Giuseppe Conte, entusiasta della retata, riuscire a fare l’analisi del sangue e tutti quelli che ti stanno vicini, che partecipano ai tuoi appuntamenti, che ti promettono voti. E poi magari dicono tra loro al telefono che tu hai detto al suocero della sorella (testuale) di un tizio che ha una tabaccheria, che il comune di Rende con te sindaco andrà da lui a comprare le marche da bollo. Al fianco del sindaco, nel comune destino di arresti domiciliari, l’assessore ai lavori pubblici (ruolo pericolosissimo, meglio delegarlo a un magistrato o un poliziotto) Pino Munno e quello alla manutenzione e decoro della città di Cosenza, Francesco De Cicco. La base di tutte le imputazioni, quella che consente intercettazioni e arresti, è sempre il reato associativo, in questo caso non solo di stampo mafioso, ma anche finalizzato al voto di scambio. Ora, non conoscendo noi personalmente questi amministratori indagati, e sapendo solo che sono, come tutti gli altri, innocenti secondo la Costituzione, possiamo solo fare qualche riflessione sulle procedure.

È vero, il giudice Ferraro, nell’introduzione dell’ordinanza, premette, con una certa abilità, di avere un’interpretazione delle sentenze della cassazione sulla custodia cautelare diversa da altri suoi colleghi. Non dice quindi che si limiterà ad aggiungere una propria “creatività” alla pedissequa trasposizione degli atti raccolti dalla Dda. Ma con puntiglio precisa che procederà a un’ “autonoma valutazione” di ogni indizio. Ma non sfugge alla storia. E la storia ci dice che, colpevoli o innocenti che saranno, alla fine, questi indagati, una cosa è quasi certa, o forse certissima. Cioè che prima o poi il reato associativo cadrà, soprattutto nell’aggravante di mafia. O vogliamo tirarla avanti nei secoli la tiritera del concorso esterno? Diciamoci la verità: sotto sotto non c’è la speranza di qualche dimissione? E non saranno gli stessi partiti magari a suggerirlo “per ragioni di opportunità”?

Il procuratore Gratteri ieri mordeva il freno, con la conferenza stampa che entrava e usciva dalle agenzie. Prima ha lasciato uscire dalla bocca tutte le maiuscole possibili: “Forse è la più estesa indagine su Cosenza e riguarda un’associazione mafiosa, un’associazione finalizzata al traffico di droga e tutti i reati-fine caratteristici della criminalità organizzata, quindi estorsioni, usura e anche rapporti con la pubblica amministrazione. Sono indagati anche tre professionisti”. Avvocati o amministratori, dunque? Eccoci qua, ecco come si mette in pratica la difesa della non colpevolezza dell’indagato.

Sintesi finale: la Dda di Catanzaro si è messa alla testa di squadre di carabinieri, agenti di polizia e guardie di finanza, che hanno cucito con ago e filo tutte le inchieste con quei bei nomi del passato, e hanno individuato una sorta di consorzio che unificava anche i profitti, in una “bacinella comune” di gruppi che un tempo si erano fatti la guerra nel cosentino. Gruppi di fuoco che però in qualche intercettazione sembrano a volte dei poveracci. Come quando uno dice “Ti piglio a calci davanti a tua moglie e tua madre…e pure davanti ai carabinieri ti schiatto di palate”. Sicuramente il tono non è rassicurante. Ma per la serietà dell’inchiesta, speriamo che la ferocia di questi mafiosi non si limiti a minacce di questo genere.

 

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.