Sarebbe la fine della “primavera Cartabia”. Sarebbe un vero tragico poker d’assi nemico della giustizia, se il governo Meloni accompagnasse le prime tre carte – ergastolo ostativo eterno, riforma Cartabia rinviata e insidiata, decreto sul divieto di riunione – con la quarta, quella decisiva per il poker, la cacciata del capo del Dap, Carlo Renoldi. E la sua sostituzione con un campione dell’ “Antimafia” come Nicola Gratteri. Non è un incubo, la possibilità c’è. Se ne parla nel mondo delle toghe e i sostenitori del procuratore di Catanzaro, che da tempo sta cercando una nuova casa (gli andrebbe bene Napoli, ma dirigere il mondo delle carceri sarebbe il massimo), stanno già affilando i coltelli. E preparandogli il biglietto di viaggio per Roma.

Sarebbe una bella compensazione, dopo il fallimento delle sue aspirazioni su Milano, il vertice della procura antimafia e il Csm, oltre a tutto il meglio retribuito. Si tratta di 320.000 euro all’anno, che si trasformano in vitalizio al termine dell’incarico, anche quando fosse stato breve. Ma noi sappiamo che il dottor Gratteri più che altro ha vere ambizioni di tipo professionale e di politica giudiziaria. In questo momento è un vero capo, con i suoi blitz e i maxi-processi in Calabria, dopo che sono tramontati i vari Scarpinato di Sicilia. E soprattutto perché la ‘ndrangheta calabrese pare ormai l’unica forma di mafia esistente, anche se somiglia più a un insieme di comitati d’affari che non di criminalità sanguinaria. Ora però, se davvero esiste la candidatura Gratteri al Dap e se veramente esiste qualcuno nel governo, magari la stessa Presidente Meloni, intenzionato a dare una svolta così radicale sul carcere, si aprono problemi gravissimi. E se è vero, principio cui crediamo moltissimo, che la civiltà di un Paese si misura sulle sue prigioni, dovremmo concludere che ci stiamo avviando non a nuove forme di neo-fascismo, ma sicuramente a una precipitazione nell’inciviltà.

In cui il “carcere normale”, quello in cui in cella si va solo a dormire, voluto e creato dal direttore Luigi Pagano quando inventò Bollate, e dai pochi riformatori che si sono avvicendati alla guida degli istituti di pena, lascerà il posto a una storia che conosciamo già. Quella in cui il Dap era diretto dai piemme antimafia. I quali hanno dimostrato non solo di non aver mai visto un carcere nel corso della loro carriera, ma anche di aver portato con sé all’interno delle mura la forma mentis dell’ “antimafia”. Quella per cui tutto è criminalità organizzata, tutti i detenuti che non collaborano con l’accusa sono irriducibili destinati a morire in galera. La storia di questi ultimi anni ha messo più di una volta sotto i riflettori il metodo-Gratteri: grandi retate, pesca a strascico, ricerca del consenso e della pubblicità, lamentazione se i giornali non danno sufficiente rilievo al blitz, conferenze stampa in cui si privilegia la presenza tra gli arrestati di “colletti bianchi” rispetto agli uomini d’ onore. Nessuna importanza per il fatto che subito dopo, tra decisioni di gup, tribunali del riesame e Cassazione, il castello delle accuse cominci a sgretolarsi. E la famosa area grigia delle complicità si riduca al famoso concorso esterno, dopo che i fatti a base dell’accusa non esistono più.

Poi nasce il “Rinascita Scott”, con centinaia di imputati. E si costruiscono il Maxiprocesso, la Maxi-aula e il Maxi-flop, con giudici ricusate che si astengono ma vengono tenute lì, in modo illegittimo. O addirittura, come nel caso della dottoressa Germana Radice, giudice istruttore in una causa civile che riguarda l’imputato avvocato Francesco Stilo, che viene chiamata a fare parte del collegio del “Rinascita Scott”, dove sia pure in veste di supplente, si ritrova a giudicare in chiave penale lo stesso imputato. Anomalie di un processo anomalo. Nel quale però con pervicacia si mantengono agli arresti lo stesso avvocato Stilo, gravemente malato di leucemia e il suo collega Giancarlo Pittelli, che il dottor Gratteri vorrebbe addirittura rispedire in carcere. Si, è proprio adatto a dirigere il Dap, il procuratore di Catanzaro. E’ il più adatto a tenere in mano le chiavi delle prigioni e a non aprire quelle porte. Chi sarà mai, al suo cospetto, quel giudice della sparuta sinistra garantista di nome Carlo Renoldi che è stato chiamato a dirigere le carceri nella “primavera Cartabia”? Certo, non uno che cita Giovanni Falcone solo per ingaggiare una gara della serie il mio Maxi è più lungo del tuo, ma per ricordarne lo spirito riformatore.

Quello che piace anche al ministro Carlo Nordio, come la separazione delle carriere e i principi del processo accusatorio. Per questo non crediamo che mai il neo-guardasigilli potrà coltivare l’idea balzana di tornare a mettere a capo del Dap un pm “antimafia” e soprattutto uno come il dottor Gratteri. L’idea, pensiamo, sarà venuta a qualcun altro. Poi, se proprio i due non si conoscono, l’ex procuratore di Venezia potrebbe sempre telefonare a un altro suo ex collega, l’ex procuratore generale Otello Lupacchini. Quello che aveva con successo condotto l’inchiesta sulla “mafia del Brenta” e che è andato in pensione con un po’ di anticipo a causa dei capricci del suo caro “amico” di Catanzaro. Tenga a dirigere il Dap Carlo Renoldi, signor ministro , perché è un bravo giudice e un riformatore. Lasci perdere Gratteri, se non vuole essere ricordato come colui che dopo la “primavera Cartabia” ci ha fatto precipitare nell’“autunno Nordio”.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.