Che cosa pensa e fa l’America in questo momento? Bisogna distinguere: quale America? Politica o della gente comune? Quella politica è molto più impegnata nella nomina di un giudice costituzionale che nella guerra in Ucraina: una guerra che mostra e ricorda nelle news quanto siano malvagi gli europei, russi e non russi. Ma poi c’è l’America dei competenti, del Dipartimento di Stato e dei servizi segreti militari, che stanno prendendo in queste ore e di corsa tutte le misure politiche e militari necessarie per difendere non l’Ucraina, ma il patrio suolo degli Stati Uniti d’America che vedono alla mercé della più grave minaccia distruttiva di tutti i tempi. Quale minaccia? Le armi che Putin ha e loro no e che Putin non soltanto non ha mai nascosto ma anzi ha fieramente esibito sulla Piazza Rossa, e di cui ha parlato apertamente in televisione e poi schierato e usato in Ucraina con carica tradizionale, ma usando senza alcuna ragione tecnica i vettori che possono colpire ogni luogo della Terra.

È stato il momento del panico a Washington: la pace mondiale si era retta solo sull’equilibrio bilanciato del terrore e la certezza che non ci potesse essere un vincitore. E ora – invece – compare un nuovo aggeggio che nessuno può fermare e che corre a una velocità mai vista, dotato di guide tecnologiche infallibili perché queste armi possono raggiungere New York senza dover salire in orbita esponendosi all’intercettazione. E vanno dritte a bersaglio. Così, è cambiato tutto. L’America dei servizi segreti militari, più che quella della Cia, della Dia, della National Security è in preda all’angoscia e tutti i sottomarini atomici hanno ricevuto nuove rotte per andare ad accucciarsi nei fondali più reconditi del Pianeta ed essere pronti, se la situazione precipitasse, a lanciare missili strategici, quelli dell’ultima fase letale del duello senza vincitori né vinti. Il nervosismo sta ora contaminando la Casa Bianca, che deve scegliere quale linea adottare: se quella che porti a un guerra lunga e impantanata – l’ipotesi “Vietnam in Europa” del segretario generale della Nato – o una guerra che imponga a Putin la trattativa. In che modo? Fornendo all’Ucraina armi tali da provocare la disfatta definitiva del corpo di spedizione russo.

Ma questa linea si scontra con un fattore imponderabile: la possibilità che Putin, sentendosi mancare la terra sotto ai piedi, decida l’uso di armi atomiche tattiche, che sono più distruttive di quella di Hiroshima. A quel punto la Nato dovrebbe genericamente “fare qualcosa”, ma si sa che nella Nato ci sono molte teste calde che vorrebbero andare direttamente allo scontro finale, una volta e per tutte, e sconfiggere la Russia. Questo no. Può essere ciò che vuole Washington perché gli americani adesso hanno bisogno di tempo per essere pronti e hanno le dita incrociate: Putin ovviamente sa bene tutto ciò e sta giocando al gatto col topo. Ma il più grave rischio per gli Usa è che nella Nato prevalgano idee belliciste come quelle della Polonia che espongano gli Stati Uniti a una distruzione in casa. È qui che Nato e Usa divergono. L’ideale per Washington, in questo momento, è tenere alto il livello di scontro – anche a parolacce e insulti personali, o con azioni spettacolari come colpire le borsette delle figlie di Putin- senza superare il punto di non ritorno e avere il tempo di sviluppare armi per neutralizzare i siluri ipersonici e minacciare il campo russo di pari distruzione. Soltanto così, dicono a Washington, sarebbe possibile mettere in salvo la pace e tornare così ai vecchi equilibri che erano stati raggiunti con i negoziati Salt1 e Salt2.

E in questo momento, anche se nessuna delle loro fonti ufficiali lo ammetterà mai, odieranno l’Europa e odieranno la Nato. Odiano l’Europa perché l’hanno sempre detestata: sarà pure la patria delle tante “Old Countries”, le vecchie patrie dei vecchi emigranti, ma per loro l’Europa in tempi di pace è soltanto la Francia. E, nell’immaginario americano, la Francia è soltanto Parigi ovvero la Tour Eiffel. Come i musulmani almeno una volta nella vita vanno a Parigi. Ma per loro l’Europa è anche il cimitero delle guerre mondiali, dei genocidi e delle oppressioni e non si spiegano perché gli europei con tutta la loro supponenza li odino. Non lo capiscono ma gli piace: pochi popoli come quello americano ama parlare male di sé stesso, accusarsi di imperialismo, razzismo, fascismo, cattivo gusto, elitismo e ogni abiezione. Ma adesso hanno paura.

Una paura sottile che si può rintracciare parlando con i militari: è la paura dello showdown con i russi, i quali oggi hanno quella che nell’indimenticato Dottor Stranamore di Kubrick, era “l’arma di fine di mondo”. E gli americani, no. Gli otto anni di sostanziale disarmo dell’amministrazione Obama hanno dato tempo e modo a Putin di andare oltre nella ricerca evolutiva della spada e dello scudo. Questa situazione provoca, rispetto alla guerra in Ucraina, degli effetti distorti che in Europa per non affaticarci troppo tendiamo a ridurre al solito conflitto tra falchi e colombe, con Biden descritto come fuori di testa mentre dà del macellaio a Putin, sicché noi pensiamo che con quei missili di parole roventi Biden abbia mandato in malora la speranza di trattative di pace. E che invece il buon Segretario di Stato Blinken che sarebbe più malleabile per natura, sarebbe favorevole a un compromesso. E certamente Blinken è davvero favorevole a una trattativa diplomatica ma non perché abbia osato correggere il Presidente che aveva dato del macellaio e poi del criminale di guerra a Putin, suggerendo che Biden avesse perso i nervi. Sono probabilmente deformazioni ottiche europee.

Considerazione pratica su questo stato delle cose: non è per caso che per la prima volta nella storia dell’umanità si siano goduti settant’anni di pace, insanguinata sì, ma non da centinaia di milioni di vittime. Non ci sono state più guerre mondiali da cento o duecento milioni di morti del secolo scorso ed è un fatto che la pace sia cominciata con l’apparire delle armi dell’apocalisse ed ora ha paura di morire per la presenza di armi altrettanto minacciose. L’equilibrio è saltato. Due guerre che, entrambe, si sono risolte con il riluttante intervento americano. Nel 1918 la carneficina europea e il mattatoio francese erano al loro massimo, e la Germania stava vincendo. Rompendo la tradizione di isolazionismo, gli americani addestrarono per un anno un corpo di spedizione in Kentucky, in una zona infestata da una febbre suina che covava negli allevamenti e che cominciò ad uccidere i soldati americani prima di partire. Poi il corpo di spedizione fu imbarcato già infetto al venti per cento e poi, sbarcato in Francia, contaminò tutte le truppe inglesi e francesi, poi tedesche e di ogni parte del mondo con quella che verrà chiamata febbre spagnola, anche se non era affatto spagnola. In un mese la fanteria americana sfondò le linee tedesche e vinse la guerra.

E di conseguenza il presidente americano Wilson si piazzò a Parigi per due anni per imporre regole tassative agli europei considerati dei selvaggi nazionalisti, colonialisti, imperialisti, e in più con un forte tasso di odio per i tedeschi tutti che fece scappare via scandalizzato il giovane economista Keynes: l’America era venuta a salvarci, ma portava i semi della successiva guerra, come fu. Gli americani sono produttori e venditori delle loro merci, anche intellettuali e per questo l’unico luogo del pianeta che li preoccupa è il Mare del Sud della Cina dove passa l’ottanta per cento del traffico mercantile mondiale. Quanto al resto, considerano l’Europa una sciagura che periodicamente chiede il sacrificio umano dei giovani americani e delle loro risorse economiche. Siamo probabilmente al terzo atto della stessa tragedia, sia americana che europea,

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.