La politica energetica alle dipendenze del Cremlino
Biden su Putin aveva ragione, l’Europa della Merkel si è inginocchiata a Russia e Cina

Secondo Michele Santoro e il professor Orsini non bisogna inviare più aiuti agli ucraini (che almeno per Santoro hanno ragione) perché altrimenti Putin – che già si trova nei guai a causa di un esercito inefficiente – e di un blitz fallito, sentendosi pressato e umiliato potrebbe innervosirsi e ricorrere alle armi atomiche. Il professor Orsini ha sostenuto che qualora Putin ricorresse alle armi atomiche la responsabilità sarebbe degli Stati uniti e della Unione europea che lo hanno ridotto alla disperazione e a una crisi di nervi. Invece per Santoro gli Usa sono il “male assoluto”, come si è visto con i bombardamenti in Iraq, per cui l’Italia dovrebbe spingere l’Unione europea a prendere le distanze da Biden e trattare direttamente con Putin perché comunque lui e la Russia sono sempre comunque parte dell’Europa, mettendo Zelensky in condizione di non nuocere ulteriormente e casomai ritagliargli un piccolo spazio di territorio: il problema fondamentale è che comunque Putin in difficoltà non perda la faccia. Non condivido nulla di ciò che sostiene Santoro – non parliamo di Orsini – se non la critica a Bush jr sull’Iraq, ma per ragioni diverse dalle sue.
Bush jr distruggendo Saddam Hussein sciolse anche il Partito Baath e azzerò l’esercito iracheno consegnando il potere agli sciiti che sono subalterni agli sciiti iraniani per cui è venuta meno l’autonomia politica dell’Iraq. Santoro contrappone gli Usa alla Russia europea di Putin. Sul terreno dei bombardamenti, però, a nostro avviso non c è una superiore “eticità” in quelli russi. Prima di bombardare l’Ucraina gli europeisti russi guidati da Putin hanno beffato Obama: nel 2013 Obama aveva segnato una sorta di linea rossa nei confronti di Hassad qualora egli avesse usato le armi chimiche contro la rivoluzione siriana. Hassad con bombe chimiche (fornite dai russi) colpì città controllate dai rivoltosi siriani, ma Putin lo convinse facendo leva sul suo pacifismo a non intervenire. Dopo di che Putin, passato circa un anno, si ripresentò sulla scena siriana guidando una coalizione composta da truppe iraniane, milizie sciite, hezbollah che andarono all’assalto della rivoluzione siriana che allora era culturalmente laica e democratica.
Allora i russi fecero i loro bombardamenti etici su Aleppo e altre città siriane che furono rase al suolo con centinaia di migliaia di morti e milioni di esuli. Gli stessi bombardamenti ad alto livello di eticità e di europeismo i russi fecero su Grozny e altre città cecene distruggendole. Ma le cose non si fermano qui. Santoro ha omesso di ricordare il ferreo regime autoritario instaurato da Putin in Russia: assassinio sistematico degli oppositori più pericolosi, arresto dei dimostranti, eliminazione di ogni libertà di stampa. Santoro – e non solo lui – si è anche guardato dal fare i conti con il progetto politico e culturale di Putin che non ha nulla a che fare con il comunismo, ma che per un verso è concentrato sulla assoluta personalizzazione del potere, per altro verso è ispirato da un nazionalismo predatorio di estrema destra che ha come riferimento l’Urss non per il suo comunismo originario, ma per ritornare ai suoi confini, rimettendo insieme tutti gli sgravi in nome di quell’Eurasia, di quella Terza Roma, di quella Grande Russia avendo punti di riferimento Pietro il Grande, Ivan il Terribile, non Lenin, ma Stalin che è stato rivalutato. Altro che europeismo! Anzi, l’unità degli slavi, guidati dalla Grande Russia, è alternativa all’Occidente e all’Europa.
Per ricostituire confini sulla stessa linea di quelli dell’Urss Putin non esita a ricorrere allo strumento militare: di qui in successione prima l’intervento in Georgia, poi l’occupazione militare della Crimea con una gravissima violazione delle regole internazionali, adesso il tentativo di blitz volto ad occupare Kiev, a eliminare il legittimo governo, a instaurare un governo fantoccio, una linea del genere non prevedeva nessuna trattativa con un soggetto politico del genere – che, badiamo bene, va preso molto sul serio, più sul serio anche di alcune ricostruzioni che girano sui giornali – l’Italia dovrebbe lavorare a spingere l’Europa a rompere con gli Usa. Si tratta di un invito al suicidio che va respinto al mittente. Il fatto è che questo disegno ideologico-politico- militare in Ucraina è andato incontro ad un grave smacco perché ha sbagliato tutte le sue analisi: il blitz è stato pensato sulla base della previsione che Zelensky fosse un attore pittoresco simile a Grillo, ma anche gli americani, a dimostrazione che non c’era alcun complotto originario, all’inizio hanno invitato Zelensky a rifugiarsi all’estero, che l’esercito ucraino era pronto a fare un colpo di stato filorusso, che il popolo ucraino avrebbe accolto i russi come dei liberatori.
È accaduto esattamente il contrario. Innanzitutto il popolo ucraino (anche larga parte di quello che parla russo) è esattamente l’opposto di quello descritto da Putin nel suo discorso: è un popolo fiero della sua identità nazionale memore di tutto quello che ha passato con i russi (in primis la Grande Carestia con alcuni milioni di morti), l’esercito ucraino ha dato espressione a questa volontà popolare e a sua volta Zelensky da attore si è calato a tal punto nella sua realtà istituzionale che è diventato un grande leader. Così gli ucraini hanno rifiutato la prospettiva di vedere istaurato nel loro Paese, un governo fantoccio guidato dal Lukashenko di turno. Di qui la resistenza ucraina che ha rappresentato un momento della verità per tutti, in primo luogo per l’Europa, poi per gli Usa, insomma per l’Occidente nel suo complesso, che ha finalmente preso coscienza del pericolo costituito dalla Russia di Putin attestata su una linea di nazionalismo aggressivo e predatorio che – qualora il blitz in Ucraina avesse avuto successo – sarebbe passato ad investire la Moldavia e i Paesi Baltici, avendo con la Cina un rapporto preferenziale, volto a marcare una nuova egemonia-dominio nel mondo. A quel punto l’Occidente sarebbe posto di fronte ad una tragica alternativa: o subire la preminenza di un autoritarismo russo-cinese assai invasivo ed aggressivo o andare alla terza guerra mondiale.
Allora la spontanea e durissima resistenza ucraina ha posto e pone due problemi immediati. Da un lato l’Ucraina non accetta anzi respinge come un insulto l’ipotesi della resa, peggio ancora di una resa costruita in modo iniquo stroncando la resistenza con la negazione di un sostegno che riguarda anche le armi. In secondo luogo, sia sul terreno dei valori sia su quello della real politik, Putin va bloccato finché si è in tempo. Anzi, paradossalmente, visto il progetto politico militare di cui è portatore, l’unico modo per arrivare ad una trattativa è proprio quello di rafforzare in tutti i modi compreso l’invio delle armi la resistenza ucraina. Di tutto ciò hanno preso coscienza, ognuno per vie proprie, da un lato gli Usa, dall’altro i vari Stati europei e l’Unione Europea nel suo complesso. Prima di arrivare a questa comune valutazione c’è stato un ulteriore travaglio: si ricorderà che qualche mese fa solo Biden e i servizi americani sostenevano che la Russia stava preparando l’invasione della Ucraina. Questa previsione è stata contestata in modo assai netto specialmente da Scholz e da Macron.
Quando si è visto che questa volta Biden aveva ragione, ciò ha provocato in tempi rapidissimi la revisione profonda di tutto il credito precedentemente dato a Putin. A quel punto è risultato evidente l’errore commesso dalla Merkel durante i quindici anni del suo governo, ispirati da un profondo economicismo per cui l’obiettivo fondamentale è stato quello di privilegiare nel rapporto con la Russia e con la Cina, l’andamento della bilancia commerciale tedesca senza una analisi e una visione geopolitiche. Uno dei risultati catastrofici di quella linea è stato appunto quello di una politica energetica che ha messo un pezzo di Europa (compresa l’Italia) alle dipendenze della Russia. Si dice che Putin si muove per rispondere all’espansionismo della Nato. Putin non ha detto nulla quando la Polonia ha aderito alla Nato nel 1999, e gli Stati Baltici nel 2004.
Va anche detto che non è stata la Nato ad espandersi quanto questi Stati, ex comunisti, che hanno ricercato nella Nato un ombrello che la proteggesse da un vicino del quale, giustamente, non si fidavano. Putin si è scatenato quando in Ucraina il suo presidente è stato cacciato non da un colpo di Stato, ma da grandi manifestazioni popolari. A suo volta Zelensky è stato eletto col 70 per cento dei voti. Putin ha reagito non ad un eventuale adesione alla Nato dell’Ucraina che è stata scartata su richiesta della Germania già nel 2008, ma perché la svolta democratica di quel Paese poteva influenzare il Kazakistan, la Bielorussia, la stessa Russia. Di fronte all’attacco del 24 febbraio previsto solo dagli Usa, c’è stata la svolta.
Nessuno può pensare che all’improvviso il governo tedesco, guidato da un social democratico e composto da Verdi e da Liberali è diventato all’improvviso guerrafondaio. Eppure, di fronte alla evidenza del pericolo, nello spazio di pochi giorni quel governo ha rovesciato la linea della Merkel decidendo di stanziare 100 miliardi di euro per la difesa (ma Macron sta a quota 50 e per di più ha l’atomica). Analogo ripensamento ha fatto il governo giapponese che ha condannato quello che sta facendo Putin ma che deve anche fare i conti con una Cina che ha aumentato in questi anni in modo esponenziale le spese per la Marina perché tiene conto dei rapporti di forza nel Mar della Cina e dei problemi di Taiwan.
(Fine prima parte- continua)
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