«Boris Johnson paga il fatto di aver dato vita a un Governo i cui membri sono stati scelti in base alla lealtà alla Brexit e non per capacità ad affrontare situazioni di grande difficoltà come quella determinata dal coronavirus». Ed oggi, di fronte alla crisi pandemica, questo nodo è venuto drammaticamente al pettine. Un esecutivo di impreparati non può che annaspare in questa situazione”. A sostenerlo, in questa intervista a Il Riformista, è Bill Emmott, giornalista e scrittore britannico. Emmott è stato direttore dell’Economist dal 1993 al 2006 portando il giornale a più che raddoppiare la distribuzione rispetto al periodo precedente. Dal 2013 si occupa di The Wake Up Foundation, un’associazione no profit, fondata insieme alla regista italiana Annalisa Piras, che ha lo scopo di documentare e informare sul declino delle società occidentali. «Quanto a credibilità e fiducia verso il Governo e le amministrazioni regionali – rimarca Elmott, profondo conoscitore della realtà italiana – l’Italia è oggi messa molto meglio del Regno Unito».

Il premier Boris Johnson ha presentato in Parlamento un sistema a tre livelli che prevede diverse misure a seconda del numero dei contagi, Cosa c’è dietro questa politica a “strati”?
C’è una divisione, che non è leggibile con le chiavi politiche tradizionali, tra una parte dell’opinione pubblica che crede che il Governo dovrebbe fare di più, agire con più forza e chiarezza, e un’altra parte che non crede in un lockdown severo. Johnson sta in mezzo, e cerca di arrangiarsi senza avere una visione d’insieme, una strategia per far fronte ad una crisi che non è solo sanitaria ma che sta avendo pesantissime ricadute sul piano sociale ed economico. È questo suo continuo oscillare tra rassicurazioni e pugno di ferro che hanno minato la credibilità sua e del suo esecutivo. A rendere ancora più problematica la situazione, c’è il braccio di ferro in corso tra il Governo centrale e le autorità locali. A scontrarsi sono interessi divergenti tra Downing Street e gli amministratori di città del Nord dell’Inghilterra come Manchester e Liverpool. A pesare è anche il fatto che il governo di Boris Johnson è oggi molto meno popolare di quanto lo fosse prima del coronavirus. L’impressione generale è che la comunicazione di ciò che è la situazione e delle misure adottate per affrontare la pandemia, sia inconsistente, se non disorientante. E a ciò si aggiunge la scarsa competenza dimostrata in questo drammatico frangente dal Governo nel suo insieme e dai suoi singoli membri. Un esempio di questa manifesta incompetenza è la vicenda dei test dei tamponi. Sia il Primo ministro che il suo ministro della Salute, Matt Hancock, si sono avventurati in promesse, disattese, sulla rapidità con cui sarebbero stati messi a punto i test. Qui l’ignoranza della materia si è intrecciato con un patriottismo fuori luogo, con tanto di proclami sulla rapidità con cui l’industria britannica avrebbe fornito dispositivi di tracciamento e protezione individuale e ventilatori per la terapia intensiva. Le cose sono andate diversamente, il messaggio ha finito per alimentare confusione e incertezza nell’opinione pubblica e così la popolazione non ha grande fiducia nel Governo. Il contrasto con l’Italia è impressionante e forte. L’impressione che si ha è che la popolazione italiana abbia una certa fiducia nel Governo di Roma e in quelli regionali per il rigore con cui è stata affrontata questa emergenza. In Inghilterra questa fiducia non c’è. Il numero dei pazienti negli ospedali cresce molto rapidamente e ciò che preoccupa molto è anche la reazione sociale che sta montando.

In precedenza, hai fatto riferimento al braccio di ferro in atto tra Downing Street e le autorità locali. Molti commentatori accusano Johnson di avere agito esclusivamente negli interessi di Londra e di avere utilizzato due pesi e due misure. È un’accusa fondata?
Direi di sì. Gli interessi politici del Partito conservatore sono concentrati a Londra e a Westminster, negli ambienti politici e finanziari londinesi. Ufficialmente la strategia del governo Johnson, nel suo nascere, è stata quella di non determinare squilibri tra Nord e Sud del paese. Ma ciò non è avvenuto nella crisi pandemica. Le parole sono diverse dai fatti.

A proposito di spaccatura tra Nord e Sud dell’Inghilterra. La deputata Lisa Nandy, ministro degli Esteri ombra e dirigente di spicco del Labour, ha sostenuto che «il governo sta lavorando contro gli interessi del Nord». Nandy rappresenta il seggio di Wigan, una periferia di Manchester, e testimonia di non avere «mai visto una rabbia simile nei confronti del governo da quando sono cresciuta qui negli anni Ottanta». È una rabbia forte quella che sta montando nel Nord del paese?
Non parlerei tanto di rabbia quanto di una mancanza di fiducia. La colpa del Governo centrale non è, a mio avviso, quello di fare le cose contro gli interessi del Nord, ma è una colpa di ignoranza, di mancanza di conoscenza di quella realtà, oltre che un colpevole ondeggiamento nelle varie fasi del Covid.

Cosa significa, non solo da un punto di vista sociale ma anche dal punto di vista del costume, per una realtà quale quella britannica la chiusura dei pub?
Bella domanda…Chiaramente i pub sono i luoghi della vita sociale in Gran Bretagna. È qualcosa di profondamente diverso dai caffè o dai ristoranti. Nei pub si formano aggregazioni, si sviluppano relazioni sociali, si creano comunità. Chiudere i pub significa una chiusura della vita sociale, soprattutto nel Nord.

All’inizio di questa crisi pandemica, si è detto e scritto in ogni dove che nulla sarà più come prima. Ma questo nulla non rischia di trasformarsi in peggio?
Non è detto e, comunque, non è un destino già scritto, ineluttabile. Perché esiste la possibilità di adattarsi e soprattutto di trasformare una crisi come quella che il mondo sta vivendo in un’opportunità per ripensare il lavoro, le relazioni sociali e umane, il rapporto con l’ambiente… Lo spirito di adattamento non è altra cosa dallo spirito di sopravvivenza. È anche fantasia, creatività, coraggio di innovare. Il problema in Gran Bretagna è che l’attuale Governo quanto a “spirito di adattamento” è davvero scarso. Se guardiamo ad un orizzonte più ampio, planetario, sia nei paesi ricchi che in quelli poveri, la reazione pubblica alle privazioni e alle disuguaglianze economiche può essere il principale pericolo. Se le privazioni economiche si combinano con il risentimento e la rabbia per le mancanze dei governi nella gestione della crisi sanitaria, il mix che ne risulta potrebbe rivelarsi esplosivo. Il rischio principale di questo tipo nei paesi democratici può sorgere dopo che la crisi sanitaria ha superato il peggio. In Europa e in Nord America, e presto anche in Giappone, le economie e le società sono state messe in una sorta di parziale ibernazione che i cittadini sono chiamati ad accettare per tutto il tempo che viene ritenuto necessario, per proteggere la propria salute. Ma le restrizioni al lavoro e ai movimenti sociali si riveleranno più difficili da eliminare in modo graduale di quanto non sia stato finora. Il diritto alla salute è sacrosanto, letteralmente vitale, ma alla lunga non può essere contrapposto ad altri diritti che sono a fondamento di regimi democratici. E se la storia è magister vitae, allora l’Europa dovrebbe trarre una lezione da una storia recente…

A cosa si riferisce?
Un errore fondamentale commesso soprattutto in Europa dopo la crisi finanziaria del 2008 è stato che i programmi di stimolo fiscale del governo per le loro economie sono stati interrotti o tagliati troppo presto. Le forze politiche populiste si sono rafforzate sulla base del risentimento che, mentre i banchieri venivano salvati, la gente comune veniva fatta soffrire. Lo stesso potrebbe accadere di nuovo durante il periodo di ripresa dalla pandemia. Questa volta, l’attenzione principale del sostegno fiscale governativo si è concentrata sui pagamenti del welfare sia ai singoli che alle imprese, in modo da aiutarli a sopravvivere al letargo economico. Il modo in cui questo welfare viene ritirato potrebbe rivelarsi decisivo per stabilire se in alcuni Paesi le conseguenze della pandemia porteranno a un cambiamento politico radicale o se torneranno alla normalità.

In questo contesto cosa ha rappresentato e rappresenta la Brexit?
Un elemento di grande distrazione. Un problema di questo Governo è che i suoi membri sono stati scelti per la lealtà sulla Brexit e non sulla competenza necessaria per affrontare situazioni così gravi e complesse come quella che stiamo attraversando.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.