L’analisi
Il Patto per Napoli? Ma quale miracolo: così verrà rubata l’anima ai cittadini
Il trend congiunturale sta assumendo sempre di più le caratteristiche della stagflazione, con crescita rallentata e impennata dei prezzi, e gli effetti si sentiranno soprattutto nelle aree depresse, come Napoli. Preoccupa l’aumento dei prezzi registrato in città, soprattutto dei beni essenziali come alimentari (+5,2% a febbraio su base annua), abitazione, acqua, elettricità e combustibile (+ 30%) e trasporti (+8,6%). In questo contesto difficile, il Patto per Napoli si rivela sempre di più come un patto faustiano, un accordo stabilito con una controparte più potente, il diavolo, che nell’immediato offre a Faust illusori benefici per poi rubargli la sua preziosa anima. Il Patto per Napoli concede pochi effimeri benefici ad un prezzo molto alto, imponendo la quasi totale perdita di autonomia dell’amministrazione municipale partenopea nei prossimi venti anni.
Di fatto l’amministrazione comunale sarà vincolata nei prossimi anni ad un programma di austerità, senza poter avere un minimo di flessibilità per alleviare gli effetti negativi della congiuntura, mentre le aspettative positive derivanti dagli investimenti del PNRR sono di fatto drasticamente ridimensionate se collocate nel clima di incertezza generato dalla guerra in Ucraina. Il Rendiconto 2021, completato qualche giorno fa, notificherà alla cittadinanza un disavanzo di circa 2,4 miliardi di euro. Le casse del Comune avrebbero dovuto già ricevere la prima tranche di contributo statale a fondo perduto, pari a 54.151.684 di euro. Una cifra piuttosto irrisoria di fronte alla consistenza del disavanzo e a confronto del debito complessivo, pari a € 4.899.650.012..
Gli interessi passivi che il Comune partenopeo deve pagare ogni anno ammontano a € 22.143.061,86 a titolo di quota capitale e di € 59.273.835,06 a titolo di quota interessi, quello che arriva dallo Stato non coprirebbe neppure la quota interessi prevista per l’esercizio in corso. Quindi a conti fatti il contributo annuale è poca cosa, mentre molto si chiede in cambio. Il Comune, infatti, dovrà coprire almeno un quarto del contributo statale annuo con risorse proprie, incrementando l’addizionale comunale IRPEF; aumentando il balzello sui diritti d’imbarco portuale e aereoportuale; inasprendo la riscossione; riducendo del 2% annuo gli impegni di spesa di parte corrente; riorganizzando e snellendo la struttura amministrativa (come?); contenendo ulteriormente la spesa per il personale in servizio (ma è già ridotta al minimo), valorizzando il patrimonio comunale (con esiti assolutamente incerti riguardo alle cifre che possono essere raccolte) e infine, razionalizzando uffici e il sistema delle partecipate. Insomma, il governo Draghi ha dettato una vera e propria agenda di austerità.
Eppure si insiste nel proporre alla cittadinanza una narrazione eroica del patto, presentato come una sorta di miracolo che ha salvato una città sull’orlo del disastro. Ma non è così. Se andiamo a vedere bene le cifre, la città di Napoli presenta un indicatore di sostenibilità del debito (in termini sommari, il rapporto percentuale fra la spesa per rimborso di prestiti e le entrate correnti) pari al 9.91%, una performance migliore di Torino il cui indicatore è pari a 11.47% e non molto lontana dalla virtuosa Milano, il cui indicatore è pari a 7.47%. L’amministrazione precedente ha tentato già operazioni di risanamento, riducendo soprattutto la spesa del personale (da € 628,619,143.39 nel 2015 a € 395,948,008 nel 2020) e contraendo al limite la spesa sociale. E allora perché presentare una strada di risanamento, già impostata dalla precedente amministrazione, come una svolta miracolosa? Forse per attribuire al Governo-Mefistofele la responsabilità di scelte impopolari, presentate come inevitabili e imposte dall’alto in cambio di una manciata di milioni a fondo perduto? Il peso dei sacrifici sarà sostenuto infatti solo dai contribuenti, i soliti onesti e tartassati (i contributi dei cittadini ammontano al 61% delle entrate).
I due grafici mostrano rispettivamente le entrate e gli investimenti previsti dall’attuazione del patto (grafico 1) e il contributo comunale e statale stabilito dal Patto (grafico 2). Nel grafico 1 appare evidente che il peso maggiore del contributo comunale sarà basato sulla riscossione tributaria. E, come è evidente nel grafico 2, tra il 2033 e il 2038 il contributo comunale sarà superiore addirittura al contributo statale. Insomma, nonostante lo sforzo di questa amministrazione nel tentare di impostare una politica di risanamento, il Patto è stato un colossale fallimento politico, in pratica si è rivelato come un commissariamento e una umiliazione per la città considerata dal governo incapace di provvedere da sola. In campo vi erano altre alternative rispetto al patto faustiano? Si poteva pretendere l’applicazione della Sentenza della Corte Costituzionale 4/2020 che obbliga lo Stato ad intervenire per il risanamento dei comuni in squilibrio strutturale che operano in territori con elevato indice di vulnerabilità sociale e materiale, e Napoli è al primo posto in questa nefasta classifica. Ma come Faust si è scelta una strada apparentemente più semplice, ma piena di insidie nel futuro incerto.
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