L’Indo-Pacifico continua a essere bollente. Ieri, il ministero della Difesa di Taiwan, in un comunicato rilasciato anche su propri canali social, ha scritto che 37 velivoli dell’Esercito popolare cinese, tra i quali caccia J-11 e J-16, un bombardiere H-6, un aereo cisterna Yu-20 e un velivolo Awacs per la sorveglianza aerea, sono entrati all’alba nello spazio aereo sudoccidentale dell’isola. In risposta, Taipei ha avviato tutte le procedure di difesa, tra cui il decollo dei propri aerei e l’attivazione dei sistemi missilistici e delle unità navali. Stesso schema alcuni giorni prima, questa volta in risposta a otto aerei e cinque navi da guerra che si erano avvicinati alle aree sotto il controllo di Taiwan. Procedure ormai diventate costanti in quel quadrante di mondo, ma che non devono essere considerate né innocue né tantomeno come una “semplice” routine a cui abituarsi senza rischi.

Se si guardano i numeri, l’aumento di questo tipo di attività da parte della Cina e, di conseguenza, delle reazioni di Taiwan, è ormai esponenziale. Alcuni dati parlano di più di 1500 aerei cinesi entrati nello spazio aereo taiwanese soltanto nel 2022. E se questi numeri vengono messi a sistema con le dichiarazioni che giungono dalla Repubblica popolare riguardo lo status dell’isola, il rischio di una tensione che vada ad aumentare fino alle estreme conseguenze non è da ritenere così remoto.

Allo Shangri-La Dialogue di Singapore, importante riunione sulla sicurezza dell’Asia, il ministro della Difesa cinese, Li Shangfu, ha detto che per quanto riguarda Taiwan il Dragone “non promette di rinunciare alla forza” e che l’isola è “al centro degli interessi della Cina” in quanto “questione interna e indiscutibile”. Inoltre, a detta della Difesa cinese è esclusivo compito del governo di Pechino decidere “come risolvere” la disputa sull’isola del Pacifico. Parole che lasciano ben poco spazio all’interpretazione sul ruolo che Taiwan ha nell’agenda del presidente Xi Jinping, il quale, come riportato dall’agenzia “Xinhua”, poche settimane fa ha detto ai più alti dirigenti politici del Partito comunista cinese che le questioni di sicurezza nazionale sono diventate “più complesse e gravi” al punto che la Repubblica popolare deve essere preparata a “grandi prove dei venti forti e delle onde turbolenti”.

Dall’altra parte del Pacifico, e cioè dagli Stati Uniti, arrivano intanto segnali ambigui. Il Pentagono, attraverso le parole del segretario alla Difesa Lloyd Austin, ha ribadito che Washington rimarrà impegnata nel garantire la libertà di navigazione dell’Indo-Pacifico e in particolare dello Stretto di Taiwan. Dichiarazioni che hanno un significato ancora maggiore se si pensa che, quasi nelle stesse ore, una nave cinese e una statunitense hanno rischiato la collisione per una pericolosa manovra dell’equipaggio del Dragone durante un’esercitazione della Us Navy intorno a Taiwan.

In questi giorni, però, si segnalano anche indiscrezioni che inducono a pensare che vi sia un tentativo di disgelo. I media Usa hanno rilanciato la notizia su un possibile viaggio in Cina nelle prossime settimane del segretario di Stato, Antony Blinken. Un viaggio che, qualora dovesse essere confermato, rappresenterebbe un primo momento ufficiale di riavvicinamento dopo l’affaire del pallone spia cinese nei cieli americani che portò all’annullamento del tour di Blinken nel paese asiatico. Nei giorni scorsi un altro incontro di alto livello. L’assistente segretario di Stato per l’Asia orientale e il Pacifico, Daniel Kritenbrink, e il capo dell’ufficio del Consiglio di sicurezza nazionale per la Cina e Taiwan, Sarah Beran, sono stati a Pechino per parlare con il viceministro degli Esteri, Ma Zhouxu, e con Yang Tao, direttore del dipartimento cinese per Nord America e Oceania. Al termine di questi incontri, l’amministrazione statunitense ha parlato di “colloqui schietti e costruttivi”.

Infine, il “Financial Times” ha rivelato che il mese scorso il direttore della Cia, William Burns, è volato in Cina per una missione in cui ha incontrato i suoi omologhi dei servizi di Pechino e per ribadire la necessità di “mantenere aperte le linee di comunicazione nei canali dell’intelligence”. Il blitz è probabilmente servito all’amministrazione Biden per tastare il terreno in un momento estremamente delicato delle relazioni tra le due superpotenze. E non a caso è stato scelto un uomo visto dai suoi interlocutori come un tecnico e tra le più importanti personalità della sicurezza statunitense.

Lorenzo Vita

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