Brando Benifei, capogruppo PD al Parlamento europeo, Questo Partito democratico, con l’attuale classe dirigente, è un partito riformabile?
Assolutamente sì. Tante volte lo hanno dato per perso, invece pur tra alterne vicende, il nostro partito continua a generare energie positive che trovano però più spazio in periferia, che non a livello centrale. Naturalmente la flessibilità di linea politica tenuta in questi anni può rappresentare un pregio tattico, ma la strategia di un partito non deve mai derogare ai valori fondamentali per cui si sceglie di impegnarsi in politica in un determinato campo. Un profondo rinnovamento della classe dirigente resta una condizione necessaria per riformare il Pd, esiste già una nuova generazione democratica che si è affermata a livello locale, magari sfidando vittoriosamente equilibri consolidati. Nonostante qualche segnale recepito nella composizione delle liste, il quadro degli eletti del Pd al Parlamento nazionale è stato poi impietoso: poco più di un terzo di donne, due soli under 35, poche matricole, età media dei gruppi tra le più alte. Certo, il rinnovamento non è soltanto una questione anagrafica e un’organizzazione sana deve valorizzare anche profili intellettuali, personalità rappresentative di mondi o figure espressione di territori specifici. Il Pd è un grande partito, ma dobbiamo fare molto meglio per assomigliare di più alle parole che pronunciamo. Per dare un contributo in questa fase costituente ho lanciato assieme a tanti altri un’Assemblea per sabato 29 ottobre alle 14 all’Auditorium Antonianum di Roma: l’ambizione è quella di rompere un po’ gli schemi e avanzare delle proposte per chiarire la nostra identità, con il coraggio di dire da che parte stiamo, dei più deboli, di chi ha bisogno della buona politica per emanciparsi. Coraggio che forse non è la prima qualità che viene associata al Pd.

Nella recente Direzione Dem una delle parole più usate è “identità”. Provi lei a declinarla.
Non sono stato il solo a sorridere, mentre ascoltavo alcune analisi della sconfitta anche con spunti interessanti, ma fatte da quegli stessi dirigenti del Pd che per anni hanno cercato scorciatoie per non affrontare dei nodi politici, nascondendo la questione fondamentale dell’identità a volte dietro al tema delle alleanze e altre dietro alla formula equivoca della “vocazione maggioritaria”. La mia declinazione di “identità” è quella di un partito di sinistra riformista ma radicale nell’analisi necessariamente impietosa delle enormi disuguaglianze del nostro tempo, che porti avanti battaglie per la tutela del lavoro e a sostegno di chi crea lavoro, contro la rendita e per la liberazione delle persone dal bisogno, mantenendo una visione del mondo chiara, come è quella dei nostri omologhi del socialismo europeo. Penso, ad esempio, alla SPD in Germania, al PSOE in Spagna o al PS in Portogallo: tutti partiti che vincono e governano ma sanno bene chi sono.

Enrico Letta evoca un partito “pugnace”
Essere pugnaci per me significa combattere per affermare una visione della società e realizzare le nostre idee al governo. Forse il segretario voleva alludere implicitamente che qualche volta siamo apparsi troppo propensi al compromesso e non sufficientemente combattivi sulle nostre posizioni. Ecco, il senso di responsabilità verso il Paese può avere tratti nobili, ma non a costo di arretrare eccessivamente rispetto alle nostre idee. Anche la questione delle alleanze non è marginale: con il “campo largo”, forse, avremmo vinto le elezioni e con una legge elettorale di tipo proporzionale, come quella tedesca, avremmo potuto ottenere un governo ben diverso da quello delle destre. Oggi però il PD ha un compito chiaro: guidare l’opposizione e costruire in Parlamento le intese che saranno alla base delle future alleanze, ricordandoci però che già tra pochi mesi voteremo in Comuni e Regioni come la Lombardia. Non ripetiamo lo stesso errore, non facciamoci trovare soli e diamo la giusta autonomia e fiducia ai territori per costruire intese e coalizioni vincenti.

Lei a Bruxelles fa parte di un gruppo parlamentare europeo che ha nella sua sigla la parola “Socialisti”. Perché nel Pd questa parola sembra impronunciabile?
Il Pd è nato come frutto della sintesi tra culture politiche diverse, ma oggi la nostra collocazione e la nostra prospettiva sono saldamente inscritte nella famiglia del socialismo europeo. Nel 2009 abbiamo costituito con altre forze il gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, ma 5 anni dopo abbiamo fatto una scelta politica ancora più chiara con l’adesione del PD al partito socialista europeo. Socialismo è portare avanti chi è nato indietro: credo che possiamo pronunciare questa parola a voce alta.

Il “nuovo Pd” dovrà essere anche “arcobaleno”? E come ricucire lo strappo col movimento pacifista?
La volontà di cercare la pace è una premessa necessaria per darsi qualunque orizzonte democratico: questi temi sono già abbondantemente nel DNA del PD. Io penso che serva una iniziativa politica più autonoma e forte da parte dell’Europa per arrivare a un cessate il fuoco e a una pace duratura coinvolgendo tutti i principali attori mondiali, senza interrompere il sostegno all’Ucraina anche di tipo militare. Il movimento pacifista è chiaramente articolato al suo interno: con la sua parte più genuina non è mai stato smarrito un dialogo, mentre è più complicato tenerlo con chi tiene maggiormente un piano di battaglia politica.

Che ne pensa della “conversione” pacifista e “melenchoniana” di Giuseppe Conte?
Sono certo che sia sincero quando afferma di credere al valore della pace: data la sua esperienza, immagino che sia anche ben consapevole degli impegni internazionali da mantenere e della necessità di non cedere a retoriche strumentalizzazioni. Sulla sua conversione melenchoniana mi sembra invece che Conte sia il primo a non crederci, data la maniacale attenzione con cui anche in campagna elettorale ha sempre allontanato da sé l’etichetta di essere di sinistra dietro al più ambiguo termine “progressista”.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.