La crisi dei dem
Intervista a Gianfranco Pasquino: “Il Pd per salvarsi faccia come Mitterand”
Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica nell’Università di Bologna.
Questo Pd è un partito riformabile?
È riformabile sì ma non necessariamente da coloro che stanno dentro il partito adesso.
Nella recente Direzione Dem dedicata all’analisi del voto, la parola più usata è stata “identità”. Che vuol dire questo?
Certo è curioso che non sappiano quale parola aggiungere a identità. L’identità di…Dovrebbero specificare ma non lo sanno fare perché il problema non è l’identità. Il problema è di cultura politica. Esattamente quello che avevano promesso e che non hanno saputo fare, cioè mettere insieme le migliori culture riformiste del Paese. Quelle culture politiche erano esauste e vetuste. Peraltro c’era una chiara esclusione o preclusione nei confronti dei socialisti, nonostante la loro fosse una cultura certamente riformista e certamente europeista. E questa esclusione l’hanno pagata i socialisti, che poi sono finiti con Forza Italia.
Enrico Letta ha evocato un partito “pugnace”. Questo vuol dire ammettere che fino ad ora il Pd non lo è stato?
Francamente non capisco cosa servano queste parole. Gli “occhi di tigre”, “pugnace” e così via. Vuol dire che Letta ha una concezione “aggressiva” del Partito democratico? Mi pare fuori luogo. Il libro di Sartori sui partiti e i sistemi di partito avrebbe fatto capire a Letta che si vincono le elezioni soltanto se si riescono a creare coalizioni, visto che nove volte su dieci senza coalizioni si va incontro a sconfitte memorabili. E quella del 25 settembre è una sconfitta memorabile. “Pugnace” è una parola che non va bene dentro il partito perché nessun dirigente del Pd è “pugnace”.
Qual è il pubblico di riferimento del Partito democratico?
Certo loro non vorrebbero solo la “Ztl” però quello è diventato. E per parlare alle periferie, con le periferie, bisogna starci nelle periferie. Bisogna avere dei candidati, dei dirigenti che siano nati, vissuti, che ci abitino in quelle periferie. Il problema non è tanto che il Partito democratico sta nella “Ztl”. È che i dirigenti e i candidati del Pd sono di quella zona lì, “Ztl”.
Lei cosa ne pensa della “conversione” pacifista di Conte e più in generale del suo tentativo di presentarsi come una sorta di Mèlenchon italiano?
Non mi piacciono le “conversioni” su un tema così rilevante, perché questo è un tema connotato dalla presenza di un valore importantissimo. Dal punto di vista politico posso solo dire che da quelle parti ci sono degli elettori. Una parte dell’elettorato 5Stelle sicuramente è pacifista. Una parte sicuramente non sta con l’Ucraina. Una parte sicuramente pensa che è tutta colpa degli americani, Conte in qualche modo li rappresenta nelle sue immense ambiguità.
Un consiglio al centrosinistra per attrezzarsi ad una incisiva opposizione al nascente governo delle destre?
Innanzitutto non è proponibile l’idea che ci sia una opposizione compatta che tenga uniti Calenda e Renzi, con i loro ego assolutamente spropositati e ingombranti, assieme all’ego che sta crescendo di Conte, insieme con quello che sarà il prossimo segretario del Pd. Un’opposizione compatta non può esserci. Può esserci una opposizione che collabora su tematiche. La competizione fra di loro all’opposizione dev’essere sullo scegliere meglio le tematiche su cui sfidare il governo aspettandosi che gli altri rappresentati dell’opposizione convergano e non si limitino a rilanciare o a prendere le distanze. Questo sarebbe un errore clamoroso. Ma se la domanda successiva è se lo commetteranno, la risposta è quasi sicuramente sì.
Stefano Bonaccini a suo avviso è attrezzato a ricoprire il ruolo di segretario del “nuovo Pd”?
Governa in maniera adeguata, senza particolari novità, la regione Emilia Romagna. Per diventare segretario di un partito come il Pd bisogna esprimere delle idee su che tipo di partito si vuole e non su che politiche bisogna fare. Si sta cercando di eleggere il segretario del partito. Come riorganizzerà questo partito? E non basta dire parole vaghissime del tipo sarà un partito “aperto”. Sarà un partito “inclusivo”. No, voglio sentire molto di più. Su questo Bonaccini certamente non è attrezzato nella misura in cui non ho sentito nulla in questa materia. E lo stesso si può dire di Elly Schlein. Quelli che sono finora circolati sono nomi di persone poco attrezzate. La campagna elettorale se la faranno, dovrebbe essere su che idea di partito avete. Io ho suggerito in proposito di guardare a due esperienze: la prima è quella di Mitterrand . Lui ricostruì il Partito socialista francese aprendo davvero un partito in rovinosa caduta a tutte quelle esperienze che si muovevano nella società nell’ambito progressista. E ce ne sono tantissime di queste esperienze in Italia. La seconda è l’Ulivo. L’Ulivo fu un’operazione interessante perché c’era un leader che non veniva dalla politica che però conosceva un po’ di politica e soprattutto che era conosciuto da molti tecnici, tecnocrati e così via. E in secondo luogo perché suscitò energie che altrimenti non ci sarebbero state. Poi però bisogna guidarlo.
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