Il “nuovo Pd” di Elly Schlein visto da Massimo Cacciari. Dalle considerazioni del filosofo ed ex sindaco di Venezia emerge un punto politico dirimente: discontinuità e “unitarismo” sono tra loro assolutamente inconciliabili. L’unitarismo, assieme al “governismo” sono due vizi dai quali il “nuovo” Pd deve liberarsi se vuole davvero essere “nuovo”. E incisivo. In chiave europea, in vista delle elezioni del 2024, Elly Schlein potrebbe rappresentare l’”anti Meloni”, rimarca l’ex sindaco di Venezia. Ma per riuscirci deve costruire attorno a sé una nuova classe dirigente portatrice di idee innovative che siano altro dalla predicazione dei diritti.

Professor Cacciari, come valuta il “nuovo inizio” del Partito democratico “targato” Elly Schlein?
La Schlein, come era successo con Zingaretti, si presenta non come leader di una corrente, di un gruppo politico, a differenza di quanto avvenne con Renzi. Renzi si presentò con dei suoi uomini, che collocò immediatamente in alcuni punti chiave del partito, dell’organizzazione, e da lì iniziò il conflitto con le altre componenti. Renzi era un leader che aveva una sua idea precisa, condivisibile o no, anche per quel che riguardava la classe dirigente del partito. Schlein non è così, tanto è vero che, a quanto pare, rientrano tutti, dal primo all’ultimo. Già questo è un grandissimo limite oggettivo, al di là dei discorsi che fa. La struttura del partito rimane quella. Quando fai una battaglia politica e il tuo avversario assume un ruolo di assoluta preminenza nell’organizzazione che dai al partito dopo la tua vittoria, sarebbe come dire che dopo quel famoso congresso del Pci in cui Ingrao venne politicamente massacrato dal centrodestra del partito, il “massacrato” finisse per diventare il presidente del Pci. Su questo punto sono tranchant: l’errore più esiziale che Schlein non dovrebbe commettere è quello di voler tenere tutti insieme nel partito. Così finirebbe nella trappola nella quale sono caduti i suoi predecessori. L’”unitarismo” non è un dogma assoluto. È un male, non una virtù. Nel Pd ha prodotto disastri a ripetizione. Schlein nasce oggi, non ha una sua base, ha certamente un grande consenso dal punto di vista dell’opinione degli elettori del Pd. Questo va bene. D’altro canto, se dopo la Meloni il Pd non avesse dato un minimo segno di rinnovamento è chiaro che la decadenza di quel partito sarebbe stata inesorabile. È fondamentale ragionare in modo realistico se si ragiona di politica.

Cosa c’è di nuovo nel programma con cui Schlein si è affermata alla guida dem e nei temi che ha messo sul tavolo in queste prime settimane da segretaria?
I suoi discorsi sono esattamente quelli su cui il Partito democratico, nel bene e nel male, aveva investito finora. Sono i grandi temi dei diritti. Perché sul piano delle proposte economiche, sociali, fiscali non si va al di là della proclamazione di alcuni principi. Non è che Letta o Bonaccini dicessero che il ceto medio sta bene, che gli operai stanno bene o che non c’è bisogno di pensare ad un reddito di cittadinanza in una forma o nell’altra. Capisco benissimo la difficoltà. In una situazione economico-finanziaria come la nostra cosa vuoi inventarti, come vuoi affrontare certe questioni, con i vincoli internazionali ed europei che hai. Ma queste difficoltà non giustificano l’inazione. E poi sulla politica estera nessuna novità. Nessuno smarcamento, neanche marginale, rispetto alle posizioni che finora il Partito democratico aveva assunto. È una immagine nuova e in politica, sia chiaro, l’immagine conta. Resa necessaria come bilanciamento dell’affermazione della Meloni. È giovane. Speriamo. Almeno una cosa mi pare l’abbia chiaramente in testa e io la condivido…

Vale a dire?
Che in questa situazione o tu trovi una intesa con i 5Stelle oppure non riesci a fare non dico una proposta di governo ma neanche una decente opposizione. Mi pare che questo l’abbia chiaro ed è già qualcosa.

Su un tema di drammatica attualità come è quello dei migranti, a suo avviso la neo segretaria del Pd ha recuperato un rapporto con quel mondo solidale che aveva rotto con i Dem?
Soprattutto da quando si è affermata la Meloni e questa destra, questo tema è sempre stato declinato dal Pd nei termini in cui avrebbe dovuto essere declinato da quel dì. Da quando c’è la Meloni al governo fanno dei discorsi eticamente sani sull’argomento, anche prima della Schlein. Il problema è che non li facevano eticamente sani quando erano al governo. Da quando sono, assolutamente nolenti, all’opposizione almeno su quel tema dicono che bisognerebbe affrontarlo con un minimo di senso del pudore e della vergogna. Chiunque fosse diventato segretario del Pd questo tema lo avrebbe affrontato, oggi all’opposizione, in quei termini. C’è un filo conduttore che lega questo governo a quelli che l’hanno preceduto. Quel filo da recidere, a livello italiano e soprattutto europeo, è l’emergenzialismo. È l’ossessione dell’esternalizzazione delle frontiere che tutto giustifica e legittima, anche le cose peggiori. Le migrazioni sono un fattore epocale che chiamano in causa non solo le politiche ma la visione che l’Europa ha di sé. Di fronte a tragedie come quella di Cutro nessuno si può chiamare fuori, dirsi senza responsabilità. Lo scaricabarile è una pratica vergognosa sia quando riguarda i governi che gli intellettuali.

Professor Cacciari se lei dovesse indicare una questione su cui misurare la reale discontinuità del “nuovo Pd” dal suo passato, quale sceglierebbe?
L’Europa. Il nostro destino è lì. Alla vigilia delle ultime elezioni europee ci fu un sussulto all’interno del Partito democratico sulla questione europea. Siamo europeisti perché vogliamo riformare l’Europa, non è che siamo europeisti perché va bene così, perché vanno bene le politiche europee. Ci fu un sussulto, nel senso di cercare una linea autonoma europea sul piano della sicurezza, su quello della politica estera, nel Mediterraneo. Vennero fuori anche delle proposte interessanti da parte di alcuni esponenti del Pd, come Gentiloni o l’allora segretario Martina. Ci fu un tentativo di definire quali riforme europee sul piano istituzionale e sul piano delle politiche, come andare verso convergenze stringenti sulle politiche fiscali. Senza tutto questo, la nostra sovranità è zero. Come possono i diversi paesi riacquistare una effettiva sovranità nell’ambito di una vera politica comune europea. Questo oggi s’impone drammaticamente davanti alle questioni della guerra. Se dobbiamo arrivare almeno a un cessate-il fuoco. Questioni che ancora non esistono nel discorso della Schlein. Su questo piano assolutamente essenziale sono i discorsi di prima, tali e quali, soprattutto da quando è scoppiata la guerra.

Guardando all’insieme del dibattito politico del nostro paese, come lo definirebbe?
Dibattito periferico. Ma la prospettiva è drammaticamente interessante. Perché l’evoluzione della dinamica politica e degli equilibri politici europei minaccia di portare ad un mutamento di fase che potrebbe essere anche radicale, nel senso che oggi ci sono tutte le condizioni perché la coalizione, le forze politiche, le intese, gli equilibri che hanno retto l’Unione Europea dalla sua formazione stanno saltando. E in questo quadro la Meloni potrebbe assumere, se regge all’interno, un grosso ruolo. Poi si vedrà come se lo gioca. In questo senso, l’avvento della Schlein alla guida del Pd, può rappresentare un punto piccolo-grande di resistenza a questa prospettiva. Se fosse stato nominato Bonaccini la deriva sarebbe continuata inesorabilmente, mentre una giovane leader come la Schlein un punto di resistenza lo potrebbe anche giocare, se riesce a formare attorno a sé un gruppo dirigente con qualche idea innovativa e non soltanto la predicazione dei diritti.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.