Del dibattito a sinistra è una delle voci più libere e autorevoli: Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla prestigiosa Columbia University di New York. Il Riformista l’ha intervistata.

Parlando delle morti sul lavoro, una strage continua, Mario Draghi ha recentemente affermato, sull’onda della tragica morte di Laila El Harim, cito testualmente: “Tra tutti i problemi c’è una cosa che sta a cuore a tutti noi e a me in particolare: cercare di fare qualcosa per migliorare la situazione inaccettabile sul piano della sicurezza sul lavoro”. Queste sono parole, importanti certo, ma i fatti?
Ancora questo lavoro è soltanto in teoria perché di fatto ancora non si è visto alcun mutamento, alcuna decisione efficace che dimostrasse, nel concreto, la volontà del governo di muoversi, stringendo, ad esempio, con una maggiore attenzione ispettiva i luoghi di lavoro che più sono teatro di morti bianche, con una forte azione preventiva, controllando ed eventualmente punendo quelle che sono vere e proprie forme di illegalità diffusa. Però non si è visto nulla su questo fronte. Come non si è visto nulla, a mio parere, nel mondo della costruzione dell’opinione, cioè la stampa, i media. Sono fatti eclatanti, come quello da lei citato, che vengono messi in prima pagina quando accadono, non sempre in verità, un giorno e poi scompaiono il giorno dopo. Vengono affrontati e liquidati come fatti di cronaca, ma non sono esemplari di una situazione di illegalità nel mondo del lavoro. È una politica fondata sull’audience, parte di quell’informazione che punta alla lacrima facile ma che non aiuta minimamente a comprendere che cosa vi sia dietro quelle morti, che scavi in profondità, facendo emergere un mondo di illegalità e di sfruttamento che resta sommerso.

La butto giù un po’ brutalmente: la sinistra sembra avere molto più a cuore i diritti civili, mentre su quelli sociali non agisce come probabilmente ci si attenderebbe. Cosa vuol dire: gli operai non sono più di moda o non fanno audience?
Io eviterei decisamente di porre in alternativa diritti sociali e diritti civili. Accettare questo paradigma rappresenta di per sé, per la sinistra, una sconfitta culturale ancorché politica. I due devono essere tenuti insieme e una buona sinistra deve fare questo, altrimenti si lasciano spazi sui diritti civili ad altre forze e i diritti sociali rimangono isolati, subalterni. Gli uni e gli altri devono stare assieme. Per me non c’è l’uno o l’altro. Non devono esistere i diritti à la carte. Detto questo, non v’è dubbio che sulle cosiddette morti bianche occorre dar vita a una battaglia politica, sociale, culturale, parlamentare che non può essere delegata solo ed esclusivamente ai sindacati. E voglio aggiungere che è sbagliato, limitativo, ritenere che a vigilare e intervenire debba essere solo la magistratura. Oggi la dimensione delle morti sul lavoro viene sempre più rubricata sotto il capitolo del diritto penale. Non si vede l’aspetto sociale di questo. Abbiamo bisogno di più risorse pubbliche per le ispezioni, ma abbiamo anche bisogno di maggiore presenza d’opinione organizzata – sindacati, partiti, movimenti – che abbia voce su questo. Detto che non c’è alternativa tra diritti civili e sociali, va però aggiunto che il Partito democratico nei suoi anni di vita, ha dimostrato di avere molta più attenzione per le politiche liberali che non per quelle sociali. Finora il Pd non ha ancora dimostrato una capacità strategica di tenerli insieme.

Da cosa nasce questa incapacità?
Un po’ perché ha accettato fatalmente questa deriva deregolamentata di tutte le relazioni nel mondo del lavoro – come se la tutela dei lavoratori ingabbiasse, impedendola, la crescita – e un altro po’ perché ha delegato al sindacato una battaglia che, per la sua complessità e articolazione, non può essere affrontata dalle sole organizzazioni sindacali. Tanto più oggi che i sindacati si trovano in un grave stato di crisi, un po’ in un angolo in questa fase di lavoro precarizzato. Creare controllo, monitoraggio, sorveglianza investe la politica, impegna i partiti e i cosiddetti corpi intermedi. Un movimento organizzato d’opinione che si affianchi, in questa opera di sorveglianza, agli istituti statali che sono chiamati a questo compito. Mi lasci aggiungere che porre il lavoro alla base della politica democratica comporta rivederne il significato, il valore, il senso: significa emanciparlo dallo stigma della sofferenza facendone una condizione di possibilità ed emancipazione. Un’impresa titanica che la democrazia moderna è riuscita a compiere solo molto parzialmente e quando si è legata alla tradizione socialista, non quando se ne è distanziata. Perché lavoro dignitoso e fiducia nelle proprie capacità stanno insieme e possono decadere insieme, come vediamo oggi. La cultura politica della Sinistra deve riportare al centro la battaglia contro un’ideologia che ci ha inculcato l’abitudine a leggere gli squilibri di potere come malasorte o sfortuna, la diseguaglianza nelle condizioni sociali come meritata sconfitta. Questa, non dobbiamo avere paura ad usare questa parola, è anche una battaglia “ideologica”.

Lei, per le sue scelte di vita e professionali, è un tramite tra l’Italia e gli Stati Uniti. Per aver timidamente proposto una “mini-mini” patrimoniale sulle successioni a sostegno di una dote per i diciottenni, Enrico Letta è stato accusato di essere “il capo del partito delle tasse”, addirittura tacciato di essere “comunista”. Mentre negli Usa Biden si spinge anche oltre…
È un tema che richiederebbe una risposta lunga e competenze che probabilmente non ho. C’è da dire, questo sì, che gli Stati Uniti hanno una visione molto più patriottica. Anche delle tasse. Per cui, se necessario lo si fa. Punto, non si discute. Se è necessario anche dal punto di vista della grandezza della nazione, da parte di un Paese egemonico che ha un senso profondo, patriottico ed egemonico, della propria identità. Quando è necessario, lo fa. Le stesse multinazionali lo faranno, come lo hanno fatto dal secondo dopoguerra agli anni 60. È un aspetto peculiare degli States che non può essere applicato ed esteso ad altri. Poi c’è la dimensione italiana che è sempre stata, lo dico con parole molto semplici e forti, molto “arraffona”, nel senso di cercare di pagare meno tasse possibili, quando è possibile non pagare affatto, forme estese di elusione ed evasione. Per cui quando si parla dell’arma fiscale per riequilibrare le diseguaglianze sociali, ci si inalbera, arrivando a sostenere, come qualcuno ha fatto, che la proposta di Letta affamava la classe media e rubava gli appartamenti ai figlioli. Non si comprende che l’uso della tassazione è per ridistribuire, una forma tangibile di solidarietà tra i cittadini, mentre si comprende e assolutizza l’aspetto repressivo dello Stato che ti “affama”, rispetto al quale dici no, evadi o cerchi di pagare meno tasse possibili. Da noi la tassazione non è né una dimensione patriottica come negli Stati Uniti, né di solidarietà come dovrebbe essere in una società democratico-sociale come noi abbiamo sempre avuto l’ambizione di essere. La tassazione è sentita come una punizione e non come uno strumento di riequilibrio sociale. L’attacco alla tassazione progressiva e alle tasse di successione sono segni del piano di secessione delle oligarchie dalla società larga, della rottura della solidarietà di cittadinanza.

A sinistra fioriscono “agorà”, riposizionamenti, discussioni su alleanze giuste o sbagliate, come quella tra Pd e i 5 Stelle di Conte. Non c’è il rischio che la sinistra sia pervasa dal virus della “convegnite” a cui non ha trovato un efficace antidoto?
Questa è una fase di interlocuzione. Siamo in estate, ci sono ancora gli effetti del lockdown, per cui parlare è diventato, anche via internet, un mezzo per sopperire alla mancanza fisica, ma è anche diventato uno strumento importante per poter parlare con altri ed espandere la nostra capacità di interazione. Non è negativo che vi sia questa attenzione al parlare, a cercare con discorsi e ragionamenti di annodare relazioni e anche riposizionare idealmente gruppi, movimenti, partiti. In questo non ci trovo nulla di male. Il punto però, è che quando verrà il momento, tra breve, queste parole che sono utilissime perché le parole educano ed è importante che noi torniamo a parlare di politica, dovranno poi aprire dei veri e propri terreni, chiamiamoli come vogliamo, in cui si si stabilisce che cosa fare, come fare e con chi farlo. A un certo punto c’è bisogno di una chiarezza operativa. Quando ci saranno le elezioni amministrative, si cominceranno a vedere queste forme operative e dai forum e le agorà si passerà all’azione e alle decisioni. Vedremo. Comunque la strada è quella di cercare forme di alleanza. Io non vedo un Partito democratico così forte da poter star da solo. La ricerca di alleati è una strada obbligata da battere. Ma sarà anche chiaro che dovrà definire con chiarezza, ponendo picchetti e delineando i limiti, quali siano le condizioni di questa alleanza e come la si costruisce.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.