La storia è oramai conosciuta. Italia Sicura funzionava. Era una struttura che si poneva, forse per la prima volta in maniera forte ed evidente, il tema della prevenzione dei rischi da dissesto idrogeologico colmando una lacuna storica del paese che si affidava quasi esclusivamente alla emergenza. Essendo dotato di una Protezione Civile fra le migliori al mondo.

La prevenzione richiede un piano di lungo periodo, richiede finanziamenti strutturali e non “spot”, magari legati alla tragedia di turno, e richiede una governance con un forte e autorevole “Centro” in grado di coordinare, indirizzare, animare ed eventualmente sostituire le tante autonomie e i tanti soggetti che operano in maniera parcellizzata e spesso episodica in questo ambito.

L’epilogo è noto: il Governo Conte I decide di sopprimere questa struttura, riporta tutto all’inizio, come in un gioco dell’oca, e riporta le gestione della politica contro il rischio da dissesto nelle paludi della burocrazia inconcludente, certe volte irresponsabile, e nel regno della parcellizzazione e della episodicità.

E tutto si riferma, va a rilento e più nessuno è in grado di controllare e indirizzare la macchina. Neppure di conoscerla: chi sa oggi quante sono le risorse dedicate alla lotta al dissesto? Dove sono? Impegnate su quali progetti? È tutto “un dare i numeri” senza alcuna trasparenza e chiarezza.

Ma non tutto si è fermato in questi anni. Pur con alcune inevitabili, e forse in qualche caso anche evitabili lentezze tipiche del sistema paese, il piano città metropolitane di Italia Sicura non si è arenato. E in tre realtà si è lavorato e si lavora per abbassare e mitigare il rischio da alluvione. Tre città con tre fiumi dicono tutto: Genova col Bisagno, Firenze con l’Arno e Milano col Seveso. A Genova la situazione nel 2014 era disastrosa. Le alluvioni si ripetevano a ritmi inaccettabili. Lo Stato aveva impegnato per quella città appena 36 milioni peraltro fermi per beghe burocratiche da 8 anni.

Il Bisagno era tombato con un passaggio, deciso nel 1909, di 500 metri cubi al secondo mentre, nella realtà attuale, arrivavano in quel tratto oltre 1200 metri cubi al secondo. E l’esondazione era inevitabile.

Italia Sicura realizzò, in collaborazione con le ottime istituzioni locali come il Comune di Genova e la Regione Liguria, rimaste tali a prescindere dal colore dei Governi succedutisi, un Piano da oltre 400 milioni di euro. La città è stata “rivoltata”, la tombatura allargata e gli scolmatori del Fereggiano prima, e del Bisagno poi, stanno concludendo l’opera. In pochi anni Genova sta diventando una città a “sicurezza europea”: non a rischio zero che non esiste ma ad un livello di rischio accettabile secondo gli standard da città avanzata dell’Europa.

A Firenze, dopo quasi 50 anni dalla terribile alluvione del 1966, si erano fatte tante commemorazioni ma pochi interventi di rilievo. L’innalzamento delle spallette nell’area di Santa Croce e un approfondimento dell’alveo nella parte urbana. Poco più. Con Italia Sicura, anche in questo caso in collaborazione stretta e proficua con il Comune di Firenze e la Regione Toscana, fu programmato un sistema di interventi di oltre 200 milioni di euro, finanziato per oltre 120 milioni, fondato su 4 casse di espansione a monte di Firenze, l’innalzamento della diga di Levane e un sistema di casse nel bacino della Sieve che è uno dei principali, e pericolosi, affluenti dell’Arno.

I lavori vanno avanti, c’è stato qualche intoppo in più che ha rallentato qualche intervento ma la macchina è partita. E Firenze si avvia oggi a diventare una città in grado di assorbire senza notevoli danni un carico di acqua simile a quello del 1966. Si può fare di più, ma questo è già molto dopo decenni di immobilismo.

A Milano la situazione era critica. Il 2014 fu l’anno delle 6 esondazioni del Seveso, e sola l’ultima piena di luglio produsse danni per 50 milioni di euro. Il Seveso fa parte di un complesso sistema idrografico sotterrato per far spazio alla grande Milano. Però, quando piove di brutto e a lungo, il Seveso arriva ingrossato dalla Brianza ed esonda a Niguarda. L’impressionante urbanizzazione lungo tutta l’asta fluviale, residenziale e produttiva, ha ridotto drasticamente le sue superfici golenali, e le sue acque inquinate sono entrate negli ultimi 140 anni in media 2 volte e mezzo l’anno dentro Milano e le città dell’hinterland.

Qui i tempi di messa in cantiere delle opere sono stati più lunghi e non si è approfittato neppure dell’Expo per accelerarli. Il Movimento “No Vasche”, particolarmente agguerrito a Senago, ha sempre contestato i lavori nonostante Italia Sicura avesse ottenuto di affiancare al Progetto delle vasche per 120 milioni di euro anche la richiesta del progetto Acque pulite per circa 90 milioni. Per evitare che nelle casse andasse a finire acqua intrisa di liquami. Ma anche a Milano, nonostante i ritardi, il Progetto per la mitigazione del rischio idrogeologico va avanti. Ed è ovvio che il comune di Milano e la regione Lombardia si stanno prodigando per mettere fine alla criticità fuori controllo del Seveso.

Quindi tre casi che, con le dovute differenze di efficienza istituzionale ed operativa, mettono in luce che in Italia la prevenzione si può fare. E che con una forte governance, con un sistema di supporto finanziario strutturale di lungo periodo e con istituzioni locali proattive e collaborative, oltre che responsabili, anche in Italia si può ambire a rimettere a posto il territorio.

Mauro Grassi

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