Leggenda vuole che Fred Astaire sia stato generato dall’incontro tra una rondine e il vento. E dall’incontro di due stelle di Hollywood? Solo di rado nasce un’altra stella, altrettanto brillante. La rarità è Jamie Lee Curtis, figlia di Tony e di Janet Leigh, che per Alfred Hitchcock e per il resto del mondo si è fatta accoltellare sotto la doccia di Psyco. A Jamie Lee Curtis è stato consegnato ieri il Leone d’Oro alla carriera. Lei, 63 anni a novembre, che a un Oscar nemmeno è mai stata candidata.

Ma che, nell’arco di sei decenni, ha preso parte a una infinita serie di cult, con altissima media realizzativa di intramontabili successi, rispetto ai film interpretati. E per di più, saltellando con disinvoltura fra un genere e l’altro. Dalla commedia brillante (Una poltrona per due, Un pesce di nome Wanda), al cinema d’azione (True Lies). Dal thriller (Blue Steel) al giallo contemporaneo, girato alla vecchia maniera (Cena con delitto). Ma è probabilmente l’horror la sua vera comfort zone. In grado di tenere testa allo spaventoso Mike Myers, sin dal primo capitolo della infinita saga Halloween. Era il 1978, dietro la macchina da presa il mito John Carpenter. A Venezia, fuori concorso, c’è l’ultimo Halloween Kills. David Gordon Green alla regia. Ma sempre lei, la leonessa Jamie Lee, a ruggire di fronte al terrore.

È bene sfatare il falso mito fantozziano di La Corazzata Potemkin (e, per estensione, del cinema ex sovietico tutto) “è una cagata pazzesca”. I cineasti russi — da Ejzenstejn in giù — sanno quello che fanno. Non sono una eccezione Natasha Merkulova e Aleksey Chupov, che firmano la regia di Kapitan Volkonogov Bezhal (Il capitano Volkonogov è scappato), passato ieri in concorso. E in odore di premio. Una estetica vistosa incornicia la vicenda terrena e ultraterrena del militare del titolo, in forza al violentissimo servizio di sicurezza nazionale. Quando viene accusato di un crimine, è costretto a fuggire dai suoi vecchi compagni d’armi. Durante la fuga, riceve un messaggio dall’aldilà. Per evitare di finire all’inferno, una volta morto, tocca espiare i peccati commessi in vita. Che sono tantissimi, insensati e atroci.

Siamo alle battute finali. Tra quarantotto ore, alla Mostra si sbaracca. Oggi, spazio ai gemelli D’Innocenzo. Fabio e Damiano, per la prima volta Venezia dopo avere sedotto Berlino con La terra dell’abbastanza e Favolacce, giocano in casa con America Latina. Misteriosissimo. Davanti all’hotel Excelsior ci sono le locandine del film, di solo testo e niente immagini. Nemmeno del protagonista, Elio Germano. Sopra il titolo geografico (non è il Sudamerica, ma Latina nel Lazio), compare la scritta “è amore”. Lo sarà davvero? Muove da fatti tristemente noti in Polonia, l’altro film in concorso oggi: Zeby Nie Bylo Sladow (Non lasciare tracce). Il regista Jan P. Matuszynski esercita il suo senso critico e artistico, sulla vicenda dell’assassinio del liceale Grzegorz Przemyk. Addì 1983, quando il regime calpestava le libertà. Esattamente come, in certi Paesi, succede anche oggi.