La politica è l’arte del possibile? Beh anche dell’impossibile, verrebbe da dire. Se qualcuno, un paio di anni fa, assistendo alla marcia trionfale della riforma Bonafede della prescrizione, avesse immaginato che un giorno il governo del populismo giudiziario si sarebbe impiccato esattamente a quella riforma, sarebbe stato accusato di essere un visionario. Invece è esattamente quello che è accaduto.

Non entro nel merito della crisi; dico solo che il Governo Conte bis, che pure ha varato la entrata in vigore di quella sciagurata riforma (approvata l’anno precedente, ma con entrata in vigore differita a gennaio 2020) ha dovuto rassegnare le dimissioni prendendo atto che il Parlamento avrebbe certamente bocciato la relazione del ministro della Giustizia esattamente a causa di quella riforma. Dico di più: il tentativo di costituzione di un nuovo gruppo parlamentare (responsabili, costruttori, europeisti, insomma quello) è naufragato principalmente su quel voto, e sulla politica della Giustizia simbolicamente connotata proprio da quel fiore all’occhiello del populismo giudiziario da quasi tre anni al governo del Paese.

Credo sia legittimo rivendicare con orgoglio il contributo che l’Unione delle Camere Penali Italiane ha saputo offrire al raggiungimento di questo importante risultato politico. Un percorso, forte di anni di battaglie politiche, manifestatosi il 23 novembre 2018 al Teatro Manzoni di Roma, riempito fino all’inverosimile, con la discesa in campo, a fianco dei penalisti italiani “contro il populismo giustizialista”, dell’intera comunità dei giuristi italiani, mai fino ad allora così espliciti nello schierarsi apertamente nell’agone politico. Fu quel Teatro che seppe accendere un’attenzione nuova, nei media e nella politica, sulle parole d’ordine del garantismo, del diritto penale liberale, dei valori costituzionali del giusto processo, denunciando con forza il valore illiberale ed antidemocratico di una idea del diritto penale che rivendica a se stesso il compito di “spazzare via” fenomeni sociali, piuttosto che porre limiti chiari e predefiniti alla potestà punitiva dello Stato.

Una attenzione mediatica che deflagrò con la “Maratona Oratoria” per raccontare “la verità sulla prescrizione”. Centinaia di avvocati da tutta Italia si alternarono senza sosta, per una intera settimana, al microfono del gazebo installato davanti al palazzo della Corte di Cassazione, per disvelare la grande mistificazione mediatica e politica populista. Quella che faceva dell’antico istituto della prescrizione non lo strumento di difesa contro l’assurda pretesa dello Stato di rendere a proprio piacimento prigioniero di un’accusa l’imputato senza limiti di tempo, e con essa la sua dignità e la sua vita, ma invece un oltraggioso privilegio di pochi ricchi privilegiati, e dei loro avvocati traffichini.

Quando vedemmo popolarsi quella piazza, giorno dopo giorno, di telecamere dei telegiornali prima, e di trasmissioni popolari della mattina e del pomeriggio poi, capimmo che la lunga semina stava finalmente dando i suoi frutti, che le nostre parole, il nostro punto di vista, stava diventando comprensibile e dunque in grado finalmente di esprimere la sua forza. E furono tanti, ed autorevolissimi, i politici ed i parlamentari che vollero raggiungerci a quel microfono, per dirsi pronti a raccogliere in Parlamento e nel Paese il testimone di quella battaglia di civiltà e di libertà. La legge abrogativa fu varata, a gennaio 2020, ma tra un florilegio di distinguo, condizioni, scadenze temporali, promesse di rivisitazioni che ne fecero da subito, all’evidenza, un’anatra zoppa. Non so se infine riusciremo ad abbatterla, quella sciagurata riforma. Vedremo.

Ma se oggi, addirittura a distanza di un anno dalla sua entrata in vigore, di fronte all’arrogante rivendicazione di quel mostriciattolo giuridico di infima qualità tecnica -una vergognosa giaculatoria populista senza capo né coda, cifra perfetta dei tempi miserabili che ci tocca vivere- la sua sola evocazione è bastata a precludere definitivamente ogni ipotesi di sopravvivenza del Governo alla propria crisi politica, credo sia legittimo rivendicare con orgoglio questa lunga, esaltante battaglia politica in nome del diritto, delle garanzie, della Costituzione.

Questa è la bellezza della politica, quando essa si nutre di idee, di convinzioni, di valori forti a lungo sedimentati nella storia del pensiero umano, non di vuota e violenta agitazione delle viscere della pubblica opinione. «La durata è la forma delle cose», ci ricordava sempre Marco Pannella. Non dimentichiamola mai, questa splendida verità.

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