“Vuole sapere qual è la mia rabbia? Che la povera gente, intendo economicamente povera, culturalmente povera, criticamente povera, invece di essere compresa, tutelata e guidata dalla sinistra, in questi anni si è sentita accolta e difesa da leghisti, grillini e Meloni. C’è una cessione di rappresentanza. Non esiste centro sinistra senza il popolo del lavoro, senza ascolto e rappresentanza degli ultimi e di chi lavora”. A sostenerlo è Marco Bentivogli, coordinatore nazionale di Base Italia, un passato da leader dei metalmeccanici, candidato per il Senato nel collegio uninominale di Ancona per il centrosinistra.

I sondaggi danno pochissimi collegi uninominali “sicuri”. Perché si è candidato?
Ognuno di noi può chiedere coerenze e cambiamenti se fa la sua parte. Comunque vada la campagna elettorale è una straordinaria occasione per stare tra le persone. Dalla mattina alla sera tardi giro nelle province di Ancona e Pesaro, sono contentissimo, mi fa tornare a quando facevo l’operatore di zona e facevamo anche 8 assemblee in fabbrica in un giorno per spiegare le vertenze o gli accordi. Se la posta in gioco è alta, la battaglia non si fa da dietro la collina. Serve credibilità per chiedere alle persone di impegnarsi e se non si dà l’esempio non ci crede più nessuno. Con il rosatellum è una mostruosità, ma nessuno lo ha voluto cambiare. Quando eleggevamo i rappresentanti sindacali in fabbrica con le prime regole (ora superate) 1/3 venivano nominati. Ma almeno si prendevano tra quelli che avevano preso i voti candidandosi come gli altri. I listini bloccati del proporzionale non li sopporta più nessuno.

Da riformista coerente e praticante qual è, non ritiene una cocente sconfitta la rottura tra Calenda e Letta? Tanto più alla luce dei sondaggi che dicono chiaramente che divisi si rischia di perdere alla grande.
Un disastro. Il 37% dei collegi sono assegnati col maggioritario. In quelli vince la coalizione che ha un voto in più, secondi, terzi o quarti classificati scompaiono. Per quello servivano coalizioni elettorali grandi, attorno ad un accordo politico tra le forze prevalenti. L’accordo del 2 agosto era proprio un accordo politico che prevedeva un ampliamento ad altre forze. Io ho sollecitato ad andare avanti senza veti a partire da quelli che il 20 luglio non hanno smesso di sostenere Draghi. Un riformista non se la racconta mai, parte dalla realtà e davanti a delle elezioni sa che si parte dai rapporti di forza ma anche dalle regole del gioco: la legge elettorale. Letta ha specificato che l’accordo con Sinistra Italiana e Europa Verde era “elettorale”. Peraltro, più sono grandi le coalizioni e più si sarebbero minimizzate le posizioni estreme. Penso che l’errore di Calenda sia stato grande. E’ un vero peccato. Nel centro Italia dopo la sua rottura, la media dei sondaggi che li giudicava “collegi contendibili” li hanno assegnati alla destra. Mi auguro che in futuro ci sia più saggezza e non ci si divida.

Per restare al tema. Sia il centro di Calenda e Renzi sia il Pd e i suoi alleati fanno riferimento all’ “Agenda Draghi”. Ma esiste davvero una tale “agenda” e che senso politico può avere senza una scesa in campo del suo intestatario?
Parliamo di risultati, se devo elencare i limiti dell’azione di Governo, specie di alcuni Ministeri, ce ne sono. Rileggiamo, tuttavia, l’intervento al Senato del Febbraio 2021. C’è qualcosa di più avanzato? Al momento non lo vedo. Il problema è che parla più Fratoianni dell’ Agenda Draghi (criticandola) di chi lo sosteneva. Certo, non si muore di agende. Ma ancor prima di chiedere a Draghi di scendere in campo, riusciamo a partire da posizioni più avanzate? Il solito rumore di social e talk che da anni confondiamo con la dialettica politica è riuscito, addirittura, a far dimenticare chi ha fatto cadere il Governo Draghi.

Il dibattito politico italiano sembra fuori dal mondo. In Europa si continua a combattere, il costo del gas continua a salire, il rischio di una tempesta perfetta, inflazione e recessione, si fa sempre più concreto e immanente. E noi?
L’autunno sarà drammatico. Non nasce tutto con la guerra e la pandemia, ma entrambe hanno accelerato la resa dei conti, che per decenni abbiamo rinviato. Sul piano finanziario si scommette sul nostro fallimento, non per il rischio di neofascismo. Perché come, gli altri paesi con forte indebitamento pubblico siamo fragili e il nostro è tra i debiti più “ingombranti” ovvero problematici per i creditori fuori dal nostro paese. L’inflazione cresce perché già con la pandemia si erano creati shock e interruzioni delle filiere produttive globali su tutto a partire dalle materie prime, l’energia e i semi conduttori. Ora la crescita dei prezzi è spinta ancora di più in modo proporzionale alla dipendenza dal gas russo. Quando un’azienda allunga le ferie ai lavoratori a causa delle bollette, vuol dire che si è sopra il livello di guardia. La Francia parla già di razionamento. Con un quadro così, il paese rischia di tornare nelle mani degli sfasciacarrozze (Meloni, Berlusconi e Salvini) che ci portarono al dissesto nel 2011. Con Tremonti che era quello che doveva sorvegliare che non vi fossero speculazione nel passaggio lira/Euro.

Molto si è discusso e scritto sulla composizione delle liste. C’è chi ha parlato di notte dei lunghi coltelli, di candidati paracadutati dal centro in territori in rivolta e così via. Siamo al trionfo delle oligarchie di partito, come affermato da Sabino Cassese in una intervista a questo giornale?
Ha ragione Sabino Cassese. Si ha la sensazione che un pezzo di ceto politico abbia completato il proprio lavoro il 20 agosto con la chiusura delle liste. Ne parleremo dopo il voto. Dopodichè c’è una scelta, dal 1 ottobre ricostruiamo dopo aver fatto la nostra parte, o ci candidiamo al “noi lo avevamo detto”? Ci sono quelli ancora in ferie e però anche quelli che si danno da fare e molto. Mi dicono che ho fatto una scelta da Kamikaze, non so e non importa, so solo che sto incontrando nel territorio, persone fantastiche che donano tanto tempo e passione alla politica. Meritano gruppi dirigenti coraggiosi e che valorizzino il loro impegno e ne ricostruiscano il senso dentro un progetto di partecipazione e cambiamento più grande.

Cosa teme di più del centrodestra e come spiega la capacità di attrazione esercitata soprattutto da FdI e Lega nei settori più deboli della società, tra cui gli operai, che un tempo erano patrimonio della sinistra?
La sinistra deve tornare ad essere una speranza. Una volta aveva un blocco sociale e riconoscenza e rispetto anche dagli altri settori sociali del paese. Il nostro è un paese in cui la mobilità sociale è andata indietro. Il mercato del lavoro più diseguale d’Europa e l’impoverimento sociale ed educativo avrà qualche nostra responsabilità politica o è sempre colpa di qualche nemico astratto? Anche la dinamica delle alleanze risente di troppe cose date in appalto. Il lavoro, la questione sociale, sono questioni appaltabili? Vuole sapere qual è la mia rabbia?

Certo che sì.
Che la povera gente, intendo economicamente povera, culturalmente povera, criticamente povera, invece di essere compresa, tutelata e guidata dalla sinistra, in questi anni si è sentita accolta e difesa da leghisti, grillini e Meloni. C’è una cessione di rappresentanza. Non esiste centro sinistra senza il popolo del lavoro, senza ascolto e rappresentanza degli ultimi e di chi lavora. Non possiamo prenderci gli scampoli della società signorile di massa. La destra non ha meriti. Tranne uno, la furbizia tattica di crescere sui nostri limiti. La campagna elettorale è solo un primo appuntamento per ricostruire tutto. Mettere da parte i “bla bla” sulle disuguaglianze e capire che puntare sulla scuola e sul lavoro è cosa diversa dal coccolare le corporazioni. Serve rileggere di più Don Milani che far finta di aver letto Piketty.

Il 40% degli italiani non ha ancora deciso se votare il 25 settembre. Una parte si dice disgustata dalla politica. E’ un dato fisiologico alle democrazie occidentali o c’è di più?
Ci sono dati fisiologici delle democrazie ma c’è qualcosa di più. Il problema è che in troppi valutano il proprio operato attraverso un mix tra la propria bolla e la propria corte. Un esempio? Pensiamo all’ultimo anno: i 15 giorni precedenti alla riconferma di Mattarella, non solo, aver richiamato Mattarella e chiesto a Draghi di restare a Palazzo Chigi perché “insostituibile” e averlo accompagnato alla porta pochi mesi dopo e poi chiedergli trovare soluzioni per le bollette. E’ stato un anno utile alla disaffezione. Nei pochi partiti tradizionali le dinamiche sono quelle del calcio, si cambiano gli allenatori e tutto resta uguale, ma in politica anche peggio, quelli che corrono di meno diventano gli eterni convocati.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.