Scartoffie e manette. È questa la risposta ai dati resi pubblici dall’Inail sugli infortuni sul lavoro. Nei primi sei mesi del 2021 le denunce di infortunio sono state 266.804, di cui 538 con esito mortale. In buona sostanza tre al giorno, inclusi sabati e domeniche. L’orribile lista ha continuato ad allungarsi nel mese di luglio. Le ultime vittime sono state Alessandro Rosciano, 47 anni, di Manfredonia, schiacciato da una lastra di cemento, e Simone Valli, giovanissima guardia venatoria di Sondrio, precipitato in un dirupo. La morte di alcuni, si pensi a Luana D’Orazio o a Laila El Harim, ha lasciato uno strascico di doloroso sgomento collettivo, mentre la morte di altri è subito scomparsa, assorbita dal buco nero del numero complessivo delle vittime sul lavoro, finendo con il non fare neppure scandalo. Quel numero complessivo, tuttavia, è, come si è visto, così alto da costituire esso stesso motivo di scandalo.

Di fronte a questa mattanza, quale la proposta? Il M5s, dando corpo a una idea del magistrato Bruno Giordano, oggi direttore capo dell’Ispettorato nazionale del lavoro, ha depositato al Senato una proposta per l’istituzione di una Procura Nazionale del Lavoro. Si tratterebbe di un organismo specializzato sulle tematiche del lavoro, «che potrebbe assumere, insieme agli altri organi preposti, un ruolo centrale in relazione alla sicurezza dei luoghi di lavoro e nella lotta al caporalato e al lavoro irregolare» (così, il senatore 5 Stelle Iunio Valerio Romano, vicepresidente della Commissione di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia).

Se dalle proposte si passa all’esistente, si deve registrare che il testo legislativo fondamentale è il T.U. sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro, contenuto nel d.lgs 9 aprile 2008, n. 81 e oggetto di numerose successive integrazioni e modifiche. Si tratta di un testo di difficile comprensione, che si segnala per un numero irragionevole di adempimenti burocratici e per la previsione di un numero sterminato di reati, che si vanno ad aggiungere a quelli previsti dal codice penale. Nel caso di infortuni sul lavoro, poi, il d.lgs. n. 231 del 2001 prevede l’applicazione di pesanti sanzioni anche all’ente datore di lavoro.

Non si può dire, dunque, che in Italia manchi un robusto presidio normativo a tutela della sicurezza del lavoro. Se, poi, dalle norme si passa a considerare i repertori di giurisprudenza, si deve rilevare che in questa materia numerosissimi sono sia i procedimenti e sia le condanne. Difficilissimo, inoltre, trovare sentenze di prescrizione per le ipotesi più gravi, atteso che i termini sono in questo caso raddoppiati. Perché, allora, di fronte a un apparato legislativo certamente non debole e a una repressione penale, di cui non si può mettere in dubbio l’effettività, l’unica idea che viene affacciata è quella di più manette? Evidentemente, per l’incapacità di affrontare i problemi. L’idea delle manette finisce così con l’essere la panacea di ogni problema.

Soluzione, viceversa, del tutto insoddisfacente se lo scopo è quello di impedire il verificarsi della tragedia. Quest’ultimo scopo richiederebbe ben altro: una efficace attività di prevenzione. Per realizzare la quale sarebbe necessario muovere, innanzi tutto, da una comprensione più accurata del fenomeno: quale è la sede di elezione degli infortuni sul lavoro? La grande impresa o l’impresa medio piccola? L’impresa sana o quella in difficoltà economica? Già questa prima analisi consentirebbe di dare all’attività ispettiva una efficacia molto maggiore.

A sua volta, una attività ispettiva adeguata dovrebbe riguardare soprattutto la tecnologia impiegata e non i timbri e le scartoffie presenti in azienda. E, conseguentemente, il personale ispettivo dovrebbe avere una preparazione prevalentemente tecnica, prima ancora che burocratica. Inoltre, il tema della spesa per la prevenzione non potrebbe essere oggetto di incentivi fiscali, e in alcuni casi di specifici finanziamenti pubblici, specie per le imprese economicamente più deboli?

Infine, vi è un aspetto decisivo per il raggiungimento di una adeguata consapevolezza collettiva dell’importanza del tema della sicurezza del lavoro. Il primo a dover dare l’esempio dovrebbe essere lo Stato. Ma, purtroppo, in Italia non è così. Scuole, università, ospedali troppo spesso sono luoghi nei quali le misure di sicurezza sono approssimative e insufficienti. Ecco, allora, che una risposta adeguata ai problemi della sicurezza sul lavoro dovrebbe muovere, invece che dalla solita evocazione delle manette, innanzitutto da una decisa attenzione ai problemi della prevenzione e, inoltre, dalla attuazione puntuale delle misure di sicurezza nella organizzazione del lavoro in primo luogo in tutte le sedi pubbliche.