«Quello che ho visto al confine non si può descrivere. Migliaia di persone stravolte, stanche, impaurite. Alcuni cercavano una strada per andare via, altri tra la folla i loro cari». Maria racconta le drammatiche scene a cui ha assistito una volta raggiunto il confine, dopo ore e ore trascorse al telefono con i suoi figli, due bambini, per guidarli fuori da quell’inferno di bombe e morte, fino al territorio italiano». Mai si sarebbe aspettata di dover vivere un’esperienza del genere.

Lei, giovane donna e giovane mamma, da anni è in Italia per lavorare, con il sogno e l’obiettivo di guadagnare abbastanza per poter poi raggiungere i figli nella loro città natale e vivere finalmente tutti insieme. Quante storie come quella di Maria ci sono dalle nostre parti. Storie di donne che, per sostenere economicamente la loro famiglia, lasciano il Paese e gli affetti. Maria oggi tira un sospiro di sollievo, i suoi due bambini sono con lei. Li abbraccia, li stringe a sé. «Gli eroi sono i miei figli – dice – che da soli, seguendo le mie indicazioni al telefono, sono riusciti a raggiungere il confine dove li attendevo». Nell’autobus arrivato nel primo pomeriggio di ieri a Napoli ci sono molti bambini. Hanno le gambe stanche per i chilometri, venti o addirittura trenta, percorsi a piedi per uscire dalla città, allontanarsi dal pericolo delle bombe e raggiungere la frontiera. E negli occhi hanno la paura e la speranza.

La prima a scendere dal pullman è Yelyzaveta, una bambina di otto anni. Stringe tra le braccia un orso di peluche, l’unico giocattolo che è riuscita a portare con sé quando in tutta fretta ha dovuto lasciare la sua casa e le sue cose per fuggire dalla guerra. I bambini più piccoli scendono dal bus in braccio alle loro mamme. Si guardano intorno muovendosi lenti sotto sciarpe e cappelli, con l’aria curiosa della loro tenera età ma con un entusiasmo smorzato dalla stanchezza del lungo viaggio e forse anche dalle tensioni che hanno percepito. Ad attenderli ci sono parenti e amici. La comunità ucraina che vive da anni a Napoli, ma anche in tutta la Campania, è una comunità molto numerosa. Ogni persona che scende dall’autobus ha qualcuno ad attenderlo e una casa dove trovare ospitalità. Un po’ di luce dopo il buio dell’inferno di Kiev.

Appena si incontrano si abbracciano, e ogni abbraccio è un’ondata di emozioni, di sorrisi e sospiri, di lacrime e commozione. Sono partiti dalla Polonia, seguendo il corridoio umanitario che si è creato con l’Italia e lasciandosi alle spalle l’Ucraina sotto i bombardamenti voluti dalla Russia di Putin. «Lì è un inferno, un inferno sulla terra», dice una donne scendendo dal pullman con quello che è riuscita a mettere in un borsone. «Inferno» è la parola che tutti ripetono per descrivere quello che sta accadendo nel loro Paese. Scuotono la testa, abbassano lo sguardo. C’è chi ha trascorso gli ultimi giorni senza quasi mangiare, chi patendo il freddo. Partiti di fretta e furia con quel poco che sono riusciti a caricarsi sulle spalle. Tutti in ansia per gli affetti da cui si sono dovuti separare e per l’incognita del futuro che li attende.

Le donne con i bambini in braccio provano a trattenere la preoccupazione che hanno nel cuore per i mariti rimasti in Ucraina a combattere o a dare comunque un aiuto a chi combatte per difendere Kiev e le altre città dagli attacchi dei russi. Nelle loro voci c’è tutta la disperazione e l’angoscia. «Pregate per noi, pregate per l’Ucraina» ripetono. Da sole devono ricominciare qui, in Italia, in attesa di poter riabbracciare i mariti, i padri, i fratelli costretti a combattere una guerra che non volevano.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).