La confusione del fronte arcobaleno
La strana ambiguità dei pacifisti: contro il riarmo e i diktat di Berlino, ma prudenti su AfD “minaccia per la democrazia”

Il 30 agosto 1954 l’Assemblea nazionale francese affossò la Ced, ovvero il trattato della Comunità europea di Difesa (sottoscritto a Parigi il 27 maggio dello stesso anno), attraverso una votazione di carattere procedurale che – con 319 voti contro 264 – decise “di posporre a tempo indeterminato il voto sulla Ced”. Di conseguenza, nella prima settimana di settembre la Ced fu abbandonata. Lo scopo della Comunità era di promuovere la sicurezza del continente attraverso la formazione di una Difesa europea “sovranazionale nel suo carattere, consistente in istituzioni comuni, comuni Forze armate e un budget comune” (Art. 1), operante all’interno del sistema di sicurezza transatlantico avviato dalla nascita della Nato nel 1949.
Tramontata questa prospettiva che puntava a far crescere un profilo politico unitario dell’Europa, venne accelerato il processo di integrazione economica, già impostato con la creazione della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) nel 1951, con l’obiettivo di mettere in comune le produzioni delle materie prime, il cui possesso era stato tra i motivi di ben due guerre mondiali. Quella scelta, che fu alla base del Trattato di Roma del 1957, ha contraddistinto nei decenni il processo di integrazione fino ad oggi, facendo dell’Europa un gigante economico ma un nano politico e un verme militare. L’Unione, infatti, non è mai stata concepita come un’organizzazione per tempi di guerra. Nonostante la creazione – a partire dal Trattato di Maastricht – del 1992 di una politica estera e di sicurezza comune (Pesc), la responsabilità di assicurare la sicurezza dell’Europa è stata affidata sin dalla metà degli anni Cinquanta alla Nato e agli Stati Uniti. Si potrebbe sostenere che questa funzione, dopo il fallimento della Ced, è rimasta atrofizzata e che le istituzioni europee si sono rese conto di questo handicap nel momento in cui lo zio d’America, dopo l’elezione di Donald Trump, sembra voler abdicare al ruolo di difensore del mondo libero.
Si è aperto il tema del riarmo europeo sulla base del piano proposto da Ursula von der Leyen. Le difficoltà sono evidenti. Con riguardo alla guerra in Ucraina, il tradizionale pacifismo della sinistra si è aggiunto alla deriva filo-putiniana delle formazioni dell’estrema destra, creando un clima sia di sottovalutazione che di complicità nei confronti della politica neoimperialista del Cremlino, al punto di avvalersi di argomenti di propaganda miserevoli per la loro demagogia, alla ricerca di un facile consenso irresponsabile, ostinandosi a negare l’esistenza di un pericolo.
Anche oggi, tra le righe, è sottinteso un argomento che fu cruciale negli anni ’50 per alimentare nell’opinione pubblica francese una diffusa ostilità nei confronti della Ced: il riarmo della Germania a pochi anni di distanza dalla fine della guerra. Anzi, secondo Giuseppe Conte, i Paesi e le istituzioni europee, sul riarmo, eseguirebbero adesso gli ordini della Germania di Friedrich Merz come in precedenza sulle politiche di austerità obbedivano ad Angela Merkel. Gustavo Zagrebelsky non ha avuto ritegno ad affermare, con riferimento alla Germania del secolo scorso, che “le ultime due volte sappiamo com’è andata a finire”. Altri critici più raffinati prendono un giro più largo. La Germania, per loro, non deve essere aiutata ad armarsi perché AfD è il secondo partito e tra qualche anno potrebbe vincere le elezioni. Però, quando in Germania l’Ufficio per la protezione della Costituzione (in sostanza i Servizi segreti interni) ha denunciato che l’AfD rappresenta una minaccia per la democrazia, i “no arms” sono insorti rievocando la dottrina di Palmiro Togliatti nei confronti del risorto MSI: “Non si possono mettere fuori legge milioni di elettori”.
Il Migliore (il Pci non votò a favore della Legge Scelba) non era interessato a tutelare l’agibilità delle formazioni di estrema destra; voleva evitare che il suo partito potesse correre il medesimo rischio di interdizione. Su AfD le autorità competenti assumeranno le decisioni opportune e compatibili con le leggi tedesche. Ma quanti in Italia hanno preso sul serio le infiltrazioni di Fanpage in Fratelli d’Italia, dovrebbero dare credito ai dossier di un’istituzione chiamata a difendere l’ordinamento democratico di un popolo che ha fatto i conti con la propria storia.
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