“Bene, questo è tutto. Grazie dal rifugio di Azovstal, il luogo della mia morte e della mia vita”. Dmytro Kozatskiy, il combattente con la passione per la fotografia conosciuto come Orest, si è congedato così dal luogo dove ha trascorso gli ultimi tre mesi dopo l’ordine, arrivato da Kiev, di deporre le armi e ‘smettere di difendere la città di Mariupol’.

Il soldato ha affidato a Twitter un ultimo messaggio, condiviso da migliaia di utenti, e un bene preziosissimo: tutte le sue foto. Immagini che raccontano la vita all’interno dell’acciaieria durante gli oltre 80 giorni di assedio sotto le bombe di Mosca.

Le immagini su Google Drive

Sotto il suo post di addio, Orest scrive: “A proposito, mentre sono in cattività, vi lascio le mie foto di migliore qualità mandatele a tutti i premi giornalistici e concorsi fotografici. Se vinco qualcosa, sarà molto bello dopo l’uscita. Grazie a tutti per il vostro sostegno, ci vediamo“. Quindi il link pubblico per scaricarle da Google Drive.

Soldati feriti, sfigurati, ripresi in momenti di quotidianità e addirittura di svago: un viaggio nella resistenza del reggimento Azov. Una galleria di immagini destinate a restare dura testimonianza del dolore, del coraggio, delle difficoltà ma anche della speranza degli uomini che hanno scelto di combattere per la propria patria.

‘L’occhio di Azovstal’, come Dmytro è stato soprannominato, per tutte queste settimane ha condiviso sul suo profilo Twitter non solo diversi scatti dall’acciaieria, ma anche alcuni video. Come quello, pubblicato lo scorso 15 maggio e diventato poi virale, in cui canta ‘Stefania’, il brano della band ucraina Kalush Orchestra, vincitrice dell’Eurovision di Torino. 

In un altro tweet, risalente al 2 maggio, il combattente- fotografo aveva scritto: “Questa foto- un’immagine in cui sorrideva circondato da fiori primaverili- sarebbe perfetta come ‘ultima foto’, in modo che tutti mi ricordino così. La foto che meglio mi descrive, perché anche nella parte più orribile riesco a trovare qualcosa di meraviglioso“. Allora le sue speranze erano però ben altre: “Ma credo che questa foto sarà solo l’inizio. L’inizio della nostra liberazione e vittoria”.  Non poteva immaginare che, meno di 20 giorni dopo, sarebbe diventato prigioniero dei russi.