Mosca all'angolo
Nato più forte, Russia isolata: armi e sanzioni logorano Putin
Al punto in cui siamo arrivati possiamo riflettere su una serie di questioni che vanno affrontate sulla base dei fatti e non di precostituiti schemi ideologici e filosofici. I punti di partenza incontestabile sono i seguenti: dopo averla smentita più volte nella notte del 24 febbraio Putin ha fatto “l’operazione militare speciale” ritenendo che essa si sarebbe risolta in un blitz della durata di pochi giorni segnato dall’immediato collasso dell’esercito ucraino, dalla eliminazione anche fisica di Zelensky, dal consenso di larga parte della popolazione.
È successo esattamente il contrario: Zelensky ha rifiutato l’offerta fatta da Biden di rifugiarsi in Polonia perché il popolo ucraino (compresa gran parte dei russofoni) rifiutava l’annessione (in questo caso prof. ssa Di Cesare il termine è giusto) alla Russia. Infatti Putin non riconosceva ad essa alcuna autonomia nazionale e culturale e intendeva operare quello che il filosofo Walzer ha chiamato un “genocidio culturale” spiegando le ragioni che lo distinguono dal genocidio tour court che ha avuto per vittime ebrei, ruandesi ed armeni. La così estesa e combattiva resistenza ucraina, condotta da un esercito motivato e da molti combattenti volontari, ha richiesto all’Occidente un sostegno non solo in termini di dichiarazioni generiche ma attraverso incisive sanzioni e l’invio di armi.
Di fronte a un’aggressione il popolo aggredito è arbitro del proprio destino e chi condanna l’aggressione per non essere ipocrita deve sostenere in tutti i modi il popolo aggredito se questo lo richiede. Se non lo fa è complice dell’aggressione. L’ipotesi lanciata da pacifisti veri e anche da pacifisti falsi (specie in Italia esiste su Putin una singolare convergenza di settori dell’estrema destra affascinati dal suo estremismo nazionalista fautore della grande Russia contro l’Europa corrotta e decadente e settori di estrema sinistra anti europei, anti americani o illusi dall’ipotesi che egli è l’ultima versione dello stalinismo) della resa degli ucraini per favorire la cessazione delle ostilità e l’apertura di trattative si è rivelata inaccettabile e impraticabile per le seguenti ragioni. In primo luogo si è trattato di un atto di straordinaria arroganza da parte di un nucleo di italiani, anche se alcuni di essi sono molto qualificati, che ha ritenuto di sostituirsi agli ucraini in una decisione fondamentale che riguarda la loro vita, la loro libertà e il loro Stato.
In secondo luogo la resa, vedendo come si comportano i russi, non avrebbe portato ad alcuna trattativa reale, ma solo alla conquista da parte russa di una larga parte dell’Ucraina e alla formazione di un governo fantoccio per l’altra parte. Poi c’è un’altra faccia della medaglia. Putin ha fondato una autocrazia e una cleptocrazia (gli oligarchi fra l’altro avevano la missione di “comprare pezzi di Europa”: leaders politici, partiti, ambasciatori, uomini dei servizi, squadre di calcio, manager di gruppi economici, impostazione delle politiche energetiche, alberghi e residenze) che ha l’obiettivo di riconquistare armi alla mano parte del territorio circostante per ricostituire i confini di una grande Russia a spese dei suoi vicini: prima la Georgia, poi la Crimea, adesso l’Ucraina e le tappe successive sarebbero state la Moldavia, i paesi baltici e, appunto, con enormi interrogativi sulla Finlandia e sulla Svezia.
Allora in larga parte dell’Occidente, anche con interne articolazioni e differenze fra gli USA e paesi dell’Unione europea, si è formata la giusta condizione che se Putin non viene fermato da esso, pur con tutti i problemi e i danno conseguenti, il rischio è che davvero la prossima volta l’Occidente si potrà trovare di fronte ad una tragica alternativa: o accettare l’ennesima prevaricazione militare che segnerebbe un cambio di egemonia mondiale (ma questo è il progetto conclamato da Putin, da Lavrov e in modo più sfumato anche nel documento congiunto Cina-Russia) oppure andare davvero ad una guerra totale. D’altra parte Zelensky ha chiesto più volte l’apertura di una trattativa reale, ma finora Putin l’ha sempre rifiutata e lo ha fatto perché, adesso che non è riuscito il blitz, vuole comunque mutare le sorti della guerra occupando il più possibile dei territori ucraini a partire dal Donbass e distruggendo parte di ciò che non riesce a conquistare sul piano militare. Non sappiamo se gli accenni di dialogo fra comandanti militari preludono a qualcosa di più impegnativo (lo speriamo vivamente), ma comunque, come ha affermato Guterres “è Putin a decidere se si aprono o no le trattative”. Poi sul piano politico Putin ha sbagliato tutto: è stato lui, con la sua improvvida iniziativa, a rilanciare la NATO.
Adesso se due nazioni di lunga tradizione neutralista guidate da leaders e da partiti socialdemocratici chiedono l’adesione alla NATO (adesione, non annessione) lo fanno perché reputano Putin un avventurista molto più pericoloso dei comunisti ortodossi come Breznev, Andropov e compagnia bella che non esitavano a reprimere con la forza coloro (vedi i comunisti ungheresi e quelli cecoslovacchi e i loro popoli) che volevano uscire dall’impero, ma non hanno mai realizzino incursioni al di fuori dei confini stabiliti a Yalta né tantomeno hanno mai minacciato il ricorso alle armi nucleari, anzi questa espressione non è mai stata da loro usate. Putin, Lavrov e i loro propagandisti minacciano ogni momento il ricorso alle armi atomiche per scioccare sul piano psicologico i popoli delle nazioni occidentali: essi sanno benissimo che fortunatamente la Russia non ha il monopolio di questa arma terribile per cui nessuna delle due parti può pensare di poterla usare senza ritorsioni altrettanto terribili. Però l’evocazione di questo tema da oggettivamente un’enorme importanza alla NATO e a tutti i paesi occidentali che sono dotati di armi atomiche. Davvero un bel capolavoro.
La scelta delle socialdemocratiche, pacifiste, storicamente neutraliste Finlandia e Svezia dovrebbe essere di lezione in Italia anche per Conte e per Salvini a meno che i loro rapporti con Putin non siano così profondi che non possono fare a meno di raccogliere in qualche modo gli ammonimenti fatto recentemente da Lavrov nel suo intervento al Tg4. In sostanza bisogna fare i conti con un autentico paradosso determinato dalla linea questa sì organicamente guerrafondaia di Putin: l’unico modo per portarlo a trattare è proprio quello di rendere reali le sanzioni e quello di continuare a inviare armi agli ucraini di tutti i tipi. Paradossalmente questa è la mossa più sostanzialmente pacifista che si può fare.
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