La guerra ha tre fronti: quello sul terreno di combattimento, quello dei rapporti internazionali e quello della propaganda che è prevalentemente russa. A questo proposito non si capisce bene perché e sulla base di quali elementi e solo sui media italiani fiorisce il mantra secondo cui “si sa che poi c’è la guerra di propaganda e dunque chi può dire che cosa sia vero o falso visto che entrambe le parti mentono”. Il che è parzialmente vero. Esempio: fino a ieri l’altro il Cremlino ha sostenuto – anche per bocca dell’ineffabile ministro degli Esteri per il quale Hitler era ebreo e gli ebrei sono la vera causa della rovina degli ebrei – che i civili che hanno vissuto nella città sotterranea dell’acciaieria di Mariupol erano ostaggi e scudi umani del battaglione “nazista”, ma quando sono usciti fuori e sono stati portati in salvo, a nessuno di questi poveri profughi che hanno vissuto nelle catacombe è saltato in mente di confermare una tale versione semplicemente perché è falsa.

C’è poi un quarto fronte di cui si parla poco e con prudenza perché si tratta del fronte russo: uno dei modi in cui questa guerra potrebbe finire è con l’allontanamento di Putin, una sua sostituzione e quindi con l’inizio di una credibile diplomazia di pace. Su questo terreno le leggende, i pettegolezzi e le fake news si sprecano. Ma alcuni fatti emergono con prepotenza. Primo: per la prima volta nella storia una grande potenza annuncia al mondo di voler fare una operazione militare nell’orto di casa – come ne fecero gli americani a Granada e a Panama – usando una dizione giuridicamente inesistente ma politicamente chiara: operazione militare speciale. Questa dizione significa: non allarmatevi, è una questione interna di breve durata. Ma non era mai stata usata pubblicamente prima, salvo in via informale e a livello di intelligence: tutte le agenzie sapevano dell’invasione perché erano stati i russi a comunicarla.

Quando Joe Biden, anziché prendere atto dichiarò al mondo di sapere dell’imminente operazione, scelse questa risposta per dire ai russi che gli Stati Uniti non avrebbero avallato il carattere limitato e speciale di una operazione militare in Ucraina. Tutto ciò era noto, ma ciò che non sapevamo era che la formula della “operazione speciale” scelta da Putin comportava limiti che due mesi fa non conoscevamo e che adesso invece siamo in grado di valutare: prima ancora che l’esercito ucraino fosse bene armato dagli occidentali tutto il mondo ha visto che l’operazione speciale di Putin era fallita perché gli ucraini si erano stretti come un sol uomo intorno al loro presidente dimostrando di avere un morale altissimo, cosa che ha dimostrato l’inconsistenza servile dei servizi d’informazione putiniani.

Oggi gli analisti militari scoprono che dopo due mesi e rotti di guerra, l’esercito russo – benché responsabile di atrocità perpetrate per diffondere il terrore come arma di distruzione di massa – non ha attaccato gli obiettivi militari che avrebbero potuto mettere l’Ucraina in ginocchio, o almeno danneggiarla molto seriamente, omettendo di distruggere punti ed autostrade, di colpire in modo distruttivo tutte le infrastrutture intorno a Kiev e rendere impossibile ai leader occidentali di recarsi nella capitale ucraina per incontrare Volodymyr Zelensky che ha potuto mostrarsi televisivamente a tutto il mondo mentre accoglieva i grandi della Terra. Inoltre, contro tutte le previsioni, non c’è stata alcuna guerra cibernetica che avrebbe potuto danneggiare gli Stati europei che sostengono l’Ucraina, e in particolare mettere in difficoltà le loro forniture energetiche.

E poi la guerra sul terremo è stata combattuta con armi inadeguate e vecchie con truppe inesperte nel combattimento ma occasionalmente capaci di mostrare una ferocia disumana con esecuzioni, torture, stupri e l’uso di forni crematori semoventi con cui eliminare i cadaveri e ridurre le prove di crimini contro la popolazione civile.
Tutti gli esperti di questioni militari si sono chiesti se l’esercito, la gloriosa Armata Rossa avesse davvero voglia di combattere questa “operazione militare speciale”. L’altissimo numero di giovani generali russi mandati a morire in prima linea dimostra che questi alti ufficiali sono stati mandati a occupare non dei posti di comando ma fronti in cui la morte fosse più o meno certa. Ecco un sicuro elemento di frattura fra Putin e i servizi militari e di intelligence in questa “operazione speciale”.

Veniamo alle novità. Il 9 maggio, anniversario della vittoria sulla Germania nel 1945, la parata militare si annuncia striminzita. L’idea che era stata ventilata di esporre cinquecento ucraini prigionieri come Cesare faceva esibendo i galli catturati prima di farli trucidare è stata abbandonata. Ma c’è un’altra novità in attesa di conferma. Il Cremlino ha lasciato trapelare voci secondo cui proprio in quel giorno, o forse una settimana più tardi, se la situazione in Ucraina fosse ancora precaria, Putin potrebbe formalmente dichiarare guerra al Paese di cui ha ordinato l’invasione il 24 febbraio scorso. Dichiarare guerra, come non è di moda dalla fine della Seconda guerra mondiale. Se ricordiamo bene, l’ultima volta che uno Strato sovrano ha dichiarato guerra fu quando Hitler dichiarò guerra agli Stati Uniti subito dopo l’attacco giapponese contro la base navale americana all’ancora a Pearl Harbor. Roosevelt dichiarò allora guerra al Giappone ma evitò di farlo con la Germania e fu Berlino a dichiarare formalmente aperte le ostilità. La dichiarazione di guerra costituisce l’unico stato giuridico per cui uno scontro armato si può chiamare guerra, e non attacco o aggressione o invasione. Quando la nostra Costituzione afferma che l’Italia si impegna a non fare la guerra, intendeva (ai tempi in cui fu scritta) a non usare mai la guerra come prosecuzione della politica in tempo di pace.

Ma come mai Vladimir Putin sarebbe costretto a dichiarare guerra a quell’Ucraina in cui sta già combattendo con un corpo di spedizione ridotto molto male e che ha già imbarazzato gli alti comandi militari perché espone la Russia a una umiliazione? I russi sono particolarmente sensibili alle umiliazioni e al prestigio militare. Quando il presidente americano John F. Kennedy vinse il suo duello con Nikita Krusciov ingiungendogli lo smantellamento e il ritiro delle basi missilistiche segretamente allestire a Cuba (accettando di smantellare basi missilistiche americane in Turchia) l’effetto di quella vittoria fu che Nikita Krusciov venne di lì a poco rimosso e le foto lo mostrarono pensionato ai giardini pubblici, mentre dava da mangiare ai piccioni. Le analisi dei think-tank di una tale sequenza dovrebbe essere questa: la classe militare russa che costituisce una delle basi fondamentali del potere politico effettivo di Putin (che ne ha già fatto uso in Cecenia, in Ossezia, in Crimea e in Donbass con reparti speciali senza insegne) e poi in Siria ad Aleppo, non essendo affatto convinta della bontà e della fattibilità dell’intervento in Ucraina, impose a Putin di annunciare pubblicamente i confini di quella operazione: niente guerra distruttiva industriale, no a scontri militari su vasta scala con l’esercito ucraino e un tempo limitato per valutare i risultati e decidere se e come continuare.

Poiché Putin ha usato quell’espressione e ha evitato di far compiere al suo corpo di spedizione operazioni industrialmente distruttive e strategicamente significative come accade quando esiste uno stato di guerra, fatti i dovuti bilanci e di fronte al costante progresso delle capacità del nemico rifornito dagli occidentali, stanno imponendo a Putin di sciogliere la riserva fin qui mantenuta e dichiarare guerra. Lo stato formale di guerra consentirebbe per prima cosa di attaccare con giustificazione formale e valida secondo le leggi internazionali, le linee di rifornimento di quello che a questo punto sarebbe diventato “il nemico” e dunque gli occidentali in Ucraina e le loro linee di rifornimento. Questo passo non implicherebbe alcun rischio ulteriore con la Nato che ha sempre dichiarato di considerare casus belli soltanto il superamento del “filo rosso” che segue la linea dei confini dei Paesi che partecipano all’Alleanza. Ma non potrebbe obiettare in alcun modo a una risposta russa su suolo ucraino contro trasporti di armi e rifornimenti. I russi acquisterebbero anche il diritto giuridico di passare per le armi tutti gli stranieri che combattono a fianco degli ucraini.

Se queste novità trovassero conferma, assisteremmo ad una formalizzazione della guerra che imporrebbe ai russi uno stato di legge marziale di fatto, con restrizioni ulteriori dei filiformi margini di libertà e la legalizzazione della censura. E poi dovrebbero vincere una guerra molto costosa e tecnologica per la quale i russi non sembrano affatto attrezzati, salvo l’esibizione di armi di distruzione di massa di apocalittica potenza, il cui uso richiederebbe decisioni non più individuali ma a collettive.
La previsione secondo cui Putin userebbe la parata della vittoria del 9 maggio per pronunciare un discorso contenente anche la dichiarazione ufficiale di guerra viene dal topo dell’intelligence militare britannica e cioè dallo stesso ministro della Difesa del Regno Unito Ben Wallace. Questo quadro dovrebbe far presumere un incremento della militarizzazione russa in Ucraina, che però non si vede. Tutte le operazioni in corso sono definite in occidente come “estremamente prudenti e tiepide”.

C’è dunque qualcosa che non torna e non è affatto chiara nelle alte sfere del Cremlino. Putin ha persino affermato negli ultimi due giorni di essere disposto ad aprire delle trattative “Se gli occidentali smetteranno di rifornire di armi l’Ucraina”. Dichiarazione che potrebbe preludere a una trattativa che permetta alla Russia di uscire dall’ingranaggio in cui si è cacciata attraverso l’uso di tutte le vie diplomatiche che finora non avevano alcun margine di probabilità a causa del carattere totalmente illegale e sospetto di crimini gravissimi, un collo di bottiglia da cui sarebbe possibile uscire salvando il salvabile senza insistere sulle minacce nucleari e senza far perdere la faccia all’Armata Rossa i cui vertici sono costantemente descritti al limite di una crisi di nervi. I ricorrenti pettegolezzi sulla salute di Putin potrebbero preludere ad una soluzione “sanitaria” con un ricovero per gravi motivi di salute, di un presidente che seguita ad accumulare disfatte diplomatiche militari ed economiche, compresa la sciagurata intervista di Lavrov che ha provocato con i suoi inaccettabili giudizi sugli ebrei il ritiro di Israele da una posizione intermedia fra le parti e che adesso minaccia di mettersi a disposizione dell’Ucraina.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.