Se qualcuno pensava che nelle settimane scorse il settantaduenne Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania per il secondo e a oggi ultimo mandato, scherzasse, dovrà ricredersi. De Luca è in campo eccome, presenza granitica nell’evanescente politica nazionale dei partiti. Ribadisce che la riforma per consentire a se stesso il terzo – e perchè no, anche il quarto – mandato come presidente si farà.

Conferma di voler giocare un ruolo nazionale che vada oltre l’amministrazione della terza regione d’Italia, come il Riformista aveva intuito mesi fa. Perché le sue parole non passino inosservate lo fa dal palco della Festa dell’Unità di Bologna dal quale rilancia la sua personale “agenda” per il Partito democratico, basata su tre punti: la sicurezza «come bisogno fondamentale», un piano lavoro per il Sud e lo sblocco della «palude burocratica» con l’annessa riforma dell’abuso d’ufficio, tanto richiesta dagli amministratori. Accusa il Pd di non essere appetibile, di non aver guadagnato neanche un voto dai terremoti politici degli ultimi tre anni: milioni di voti in movimento senza che uno finisca al Nazareno, neanche con la nuova segreteria.

Sul piano della diagnosi, impietosa, è difficile non dargli ragione. Nel merito, anche le parole chiave di De Luca colgono dei nervi scoperti. La sicurezza sarà una parola di destra, ma della sua scarsa considerazione fin dai tempi dello Stato moderno, prima degli affari, soffrono i deboli e gli ultimi, cioè il tradizionale riferimento della sinistra. Sul piano per il lavoro per il Sud, le parole di De Luca sono un modo per lamentare l’insufficiente attenzione del Pd verso il Mezzogiorno: possiamo dargli torto, visto che abbiamo dovuto attendere Mario Draghi per avere davvero il Sud al centro di un’agenda governativa, ben oltre gli sforzi dei ministri delegati pro tempore? Su sburocratizzazione e semplificazioni si gioca la partita determinante di una pubblica amministrazione amica dei cittadini e delle imprese (e attrattiva per i capitali esteri) ed è la questione delle questioni insieme con la giustizia e il fisco.

De Luca forse dice poco e maluccio, ma i suoi non sono spot perché, sia pure impressionisticamente, lancia proposte condivisibili con la sensibilità del dirigente politico e la visione dell’amministratore. Ha ragione sul fatto che un grande e popolare partito di sinistra – per non dire del vagheggiato partito unico con i Cinque Stelle – non può limitarsi a essere il partito dei diritti civili. Così si accontentano minoranze attive e gruppi di interesse, ma si resta afoni nei confronti della società nella sua interezza. Nessuno vuole operare una distinzione troppo netta dei diritti civili (o dei “nuovi diritti”) con quelli economici e sociali: le ragioni della distinzione provengono in parte da una periodizzazione storica, dall’altra da una differenza strutturale poco rilevante per una discussione sull’agenda. I diritti sono diritti e progrediscono insieme e bilanciandosi.

Il punto vero è che il Pd ha smarrito un’idea di società che non può che partire da una visione sulla sua struttura fondamentale (i vecchi “rapporti di produzione”). All’agenda del “comunista” De Luca manca sicuramente la visione di un moderno statista, di chi sa come posizionare l’Italia nella globalizzazione, tra logistica e politiche industriali, questioni geopolitiche e migratorie, nuovo welfare europeo. Ma, al contempo, pone tre questioni nazionali offrendo una lezione di realismo alle nuove leve.