«Nessun indennizzo è sufficiente per ripagare le pene che una vittima di malagiustizia è costretta a sopportare. E la cosa più grave è che nessun giudice chiede mai scusa per gli errori commessi ai danni di una persona prosciolta o assolta. Servirebbero più buonsenso e rispetto»: ne è convinto Mario Caizzone, presidente dell’Associazione Italiana Vittime di Malagiustizia (Aivm). A fondarla, con l’obiettivo di dare voce a quanti subiscono vessazioni nel nome di una legge che non è uguale per tutti, è stato lo stesso commercialista, suo malgrado protagonista di un caso di malagiustizia. Accusato di ricoprire la carica di sindaco in due società finite nel mirino della Guardia di finanza nei primi anni Novanta, Caizzone ha trascorso quattro mesi agli arresti domiciliari e quasi un ventennio sotto la scure della magistratura italiana prima che la sua innocenza venisse definitivamente riconosciuta. Ecco perché si mostra particolarmente sensibile alla vicenda dell’imprenditore campano al quale la Corte d’appello di Napoli ha riconosciuto quasi 190mila euro a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione.

Basta un indennizzo per “ricostruire” una vita demolita dalla malagiustizia?
«Certo che no. Ha idea di cosa voglia dire, per una persona che sia vittima di malagiustizia, finire su tutti i notiziari del mattino al momento del proprio arresto? Dopo la diffusione di quella notizia le chiudono i conti correnti, i fornitori e i clienti fuggono e, in alcuni casi, viene persino abbandonata dal coniuge. È facile immaginare la disperazione che ne deriva».

Com’è possibile che i giudici commettano errori grossolani come quello che aveva inizialmente portato alla condanna dell’imprenditore napoletano?
«Da quando mi occupo dell’associazione non ho mai visto un amministratore di giustizia chiedere scusa alla vittima, cioè a una persona prosciolta o assolta dalla magistratura. Lei, da giornalista, ha mai visto un amministratore di giustizia scusarsi con una vittima?»

No, anzi. Il caso di Enzo Tortora ci dimostra che, in taluni casi, i magistrati macchiatisi di certi errori vengono addirittura promossi. Ma quale immagine dei giudici emerge in certi casi?
«Quella attuale. E cioè quella di un’istituzione nella quale c’è il rischio che i cittadini perdano progressivamente fiducia. Anni fa l’Aivm ha diffuso un questionario tra parlamentari italiani ed europei, presidenti di Regione e Provincia e sindaci, chiedendo loro a chi dovesse rivolgersi una vittima di malagiustizia. La maggior parte degli intervistati ha risposto “al Padreterno”; gli altri “al papa”, “al presidente della Repubblica” e, infine, “al Consiglio superiore della magistratura”. Se gli uomini delle istituzioni non hanno fiducia nei giudici, dunque, come potrebbero mai averne i cittadini comuni?»

Non trova che la perdita di credibilità della magistratura sia ancora più preoccupante in un territorio come quello campano, spesso preda della criminalità organizzata?
«No, perché la perdita di credibilità della magistratura è grave in qualsiasi contesto».

Come si possono arginare il boom di errori giudiziari e, di conseguenza, la progressiva perdita di fiducia nei giudici?
«Servono semplicemente buonsenso e rispetto per i più deboli. Dal 27 gennaio 2012 a oggi, circa 9mila persone si sono rivolte alla nostra associazione per chiedere aiuto perché convinte di essere vittime di una cattiva amministrazione della giustizia: un numero altissimo che impone un’inversione di rotta».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.