I napoletani che hanno votato hanno scelto nettamente Gaetano Manfredi come sindaco di Napoli. Diversi i vincitori. La persona del sindaco, innanzitutto. Quindi il presidente campano De Luca che si inserisce con forza e ubiquamente nei giochi napoletani. Infine i vari organizzatori delle civiche minori, tanto che alla fine entrano in Consiglio comunale quasi una quindicina di pseudo-partiti. Tra i vincitori non intravediamo quello invocato dalla narrazione della prima ora, preconfezionata e pronta all’uso, del fantasmagorico “laboratorio napoletano”, talora proiettato su scala nazionale semplicemente come laboratorio Pd-M5S. Ben strano laboratorio, visto da vicino.

Si dice che i pentastellati vanno malissimo senza Pd, ma in realtà vanno malissimo e basta. A Bologna prendono un decimo dei voti del Pd. A Napoli restano dietro i dem e non colgono la doppia cifra nonostante abbiano il candidato sindaco che stravince e il 17% alle europee del 2019. L’effetto-Conte non porta neanche un voto perchè il M5S conferma il risultato delle regionali 2020. Come possa essere un laboratorio uno schema nel quale o i pentastellati sono irrilevanti, come a Bologna, o la somma dei due “soci” del laboratorio prendono un terzo dei voti del loro candidato a sindaco in una città dove un elettore su due non vota, ecco, resta un mistero. Un elettore su dieci, a Napoli, ha votato per l’offerta partitica di questo laboratorio. Ma su questa si giocheranno le politiche. Non certo sul pacchetto Manfredi, De Luca e le undici civiche.

I leader del M5S hanno presidiato Napoli ma Manfredi, a conti fatti, ha vinto nonostante loro. E poi sono calati in serata per mettere il cappello sulla vittoria, ma la vittoria non è nè loro nè del laboratorio se si intende, come si deve intendere, il nucleo di un’alleanza allargare a livello nazionale, secondo i disegni bettinian-lettiani, ma ormai orfana del leader naturale Conte (come Letta ha fatto intendere). Il laboratorio Pd-M5S, pertanto, non c’è. Né a Napoli né a Bologna né altrove. A Napoli c’è un laboratorio politico ma gli ingredienti principali sono, appunto, Manfredi, il presidente della Regione e la polverizzazione che si è determinata per la scelta di varare quante più liste possibili. Sono dieci quelle che avranno almeno un seggio per la maggioranza e cinque per l’opposizione. E questo vuol dire che, nonostante sia entrata una bella pattuglia di nuove energie soprattutto dal Pd, Manfredi deve inventare uno schema per governare la polverizzazione e amministrare con successo una città stremata.

Secondo ragione politica, delle due l’una: o si appoggerà all’esperienza e alla forza del presidente della Regione, facendo asse con Palazzo Santa Lucia, o tenterà di accentuare il suo profilo di indipendenza, provando un sentiero alla Beppe Sala (che, ricordiamo, divenne sindaco accreditato della fama di tecnico). Lo si vedrà dalla composizione della Giunta. Indubbiamente il Pd, per la “tecnostruttura” e che ha, costituirà un riferimento politico importante ma ausiliario. Quanto al M5S, ormai naviga a vista e il “contismo” di Manfredi appare più il frutto di una contingenza storica che un fatto politico significativo. Di certo c’è soltanto una cosa: per Napoli c’è ancora molto da fare.