L’altro giorno, evocando il processo che lo riguarda, il senatore Matteo Salvini ha lamentato l’incoerenza di quelli che ieri assistevano senza far nulla alla violazione dei confini italiani, mentre lui stava lì a presidiarli, e oggi condannano l’invasione dell’Ucraina. Il fatto che il segretario leghista si sia esibito in simili dichiarazioni, per così dire, en passant (era ospite a una presentazione del libro di Alessandro Sallusti e Luca Palamara), racconta in modo non inedito ma ancora più stupefacente a quale grado di disinvoltura sia capace di abbandonarsi il personaggio.

È pur sempre quello che affida alla Vergine la propria sorte elettorale. È pur sempre quello che impugna il rosario reclamando la chiusura dei porti in nome di Gesù Cristo. È pur sempre quello del codice della ruspa contro le zingaracce. Ma accostare l’immagine del tank russo che punta e spara su Kiev a quella del barcone di derelitti che tenta di raggiungere una spiaggia italiana urta la decenza pubblica con un sovrappiù di improntitudine. Si può anche lasciar perdere il tratto abbastanza volgare dell’esponente politico che adopera la tragedia di un conflitto armato per il selfie con il proprio curriculum ministeriale: quel che ripugna davvero è la blasfemia di quell’accostamento, il suolo e l’umanità tormentati dai missili e i bagnanti ferragostani esposti alla minaccia di donne incinte e bambini disidratati, le gente nei rifugi sotterranei per sfuggire alle bombe e lo struscio domenicale molestato dai brutti ceffi con la pelle scura, le divisioni corazzate a forzare i confini laggiù e le file di disperati a mettere in pericolo l’identità nazionale qui da noi. C’è da sperare che il dio che lui in tal modo bestemmia lo perdoni.