Punire chi è stato già punito una volta dalla vita non può essere la soluzione. Sbattere in cella un ragazzino che ha sbagliato non lo aiuterà a capire l’errore né tantomeno gli farà avere la sensazione di poter avere una possibilità in questo mondo. Anzi, il contrario: si sentirà l’ultimo tra gli ultimi. È da questa profonda convinzione che nasce in Campania il progetto “La Mia Banda è Pop”, selezionato nell’ambito del Fondo di contrasto alla povertà minorile con i bambini per sostenere i giovani nella costruzione di percorsi partecipati di riscatto ed emancipazione. Capofila del progetto è l’associazione ‘Chi rom e… chi no’ con sede a Napoli nel quartiere di Scampia.

La “Mia Banda è Pop” si propone di contrastare il fenomeno della devianza minorile con la sperimentazione di un modello fondato sul concetto di giustizia riparativa e sul concetto di reciprocità, in termini di responsabilità e cura, tra singolo adolescente, giovane e comunità. Questo modello innovativo intende coinvolgere oltre 500 ragazzi, con percorsi differenziati per chi ha già varcato la soglia del circuito penale e fare un lavoro attento sulla prevenzione e sensibilizzazione. Circa 60 tra giovani segnalati dagli Uffici di servizio sociale del Ministero di Giustizia minorile e dai servizi sociali territoriali saranno presi in carico con percorsi di prossimità in grado di sostenerli in un processo di ricostruzione personale e collettiva.

Un progetto che mostra ai ragazzi realtà che finora hanno guardato solo da lontano: laboratori di teatro, scrittura creativa, radio, percorsi di formazione e tirocini di lavoro, percorsi individualizzati di sostegno personale e familiare, azioni di rigenerazione e cura dello spazio pubblico, percorsi di aggancio e sensibilizzazione. «Pensiamo che la punizione non sia una soluzione efficace – afferma Barbara Pierro, presidente di ‘Chi rom e…chi no’ – la vita è già stata oltremodo punitiva con questi ragazzi, negandogli una quotidianità diversa dalla miseria nella quale i trovano, non parlo solo di povertà materiale – aggiunge – ma povertà di stimoli, di occasioni», Occasioni che il carcere minorile nega a priori. «L’accanimento giudiziario non farebbe altro che accrescere la rabbia di questi ragazzi – prosegue Pierro – nega la possibilità di recuperare questi giovani che hanno un valore nella nostra società e invece oggi l’unica soluzione che si immagina è ancora e solo quella repressiva».

Quando parliamo di minori in area penale, parliamo di ragazzini smarriti, soli al mondo, che vengono da famiglie che a loro volta hanno vissuto enormi disagi sociali. Parliamo di ragazzi che non credono a niente e a nessuno. «All’inizio lavoriamo molto sulla fiducia – racconta Pierro – i ragazzi devono sentire di esistere, è importante il riconoscimento del valore della loro esistenza, di solito vengono considerati gli ultimi». Ma una società che non si occupa degli ultimi, dei più fragili, una società che non ha futuro. E rinchiuderli in quattro mura non è certo la soluzione per spiegare ai ragazzi che un’altra vita c’è, che un’altra vita è possibile.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.