Le elezioni regionali della Lombardia sono un appuntamento politico fondamentale: riguardano la regione più popolosa, più ricca e più europea d’Italia; da quasi 30 anni governata ininterrottamente dal centrodestra. Partiti e movimenti del centrosinistra lombardo si incontrano da mesi; hanno elaborato ottime proposte programmatiche senza riuscire, fino a ieri, ad affrontare il tema del candidato. Chi scrive ha evidenziato fin dai primi incontri l’esigenza di individuare e investire un candidato con largo anticipo, per costruire con lui e intorno a lui la coalizione e il programma più competitivi.

Nel languore politico amplificato dall’esito delle elezioni politiche, il cielo di Lombardia, che Manzoni faticherebbe a riconoscere, è stato percosso dal lampo Moratti: vicepresidente della giunta regionale, si dimette denunciando lo spostamento a destra dell’asse politico in regione e, per soprammercato, attaccando il governo Meloni. Chi è Moratti? Certo, non una donna di sinistra. Certo, non una donna di destra, nel senso politico meloniano. Molti a sinistra, e tra essi i socialisti, vedono nella sua rottura un’occasione; percepiscono la genuinità del suo rifiuto di accodarsi, da centrista, democratica e innegabilmente antifascista – è figlia di un partigiano decorato – alla deriva nazionale reazionaria nella sua declinazione lombarda. Ma per contro, molti, soprattutto negli apparati della sinistra, levano il grido “mai! Ministra di Berlusconi! Irredimibile!”. E negano ogni possibilità di interlocuzione. Sarà per la congenita propensione all’eresia propria dei socialisti, ma a noi il rifiuto del confronto, perfino del contatto, è parso inaccettabile.

E dopo un lungo e stimolante confronto tra Moratti e i nostri segretari, nazionale, regionale e metropolitano, abbiamo preso l’impegno di provare a costruire, non dico un ponte, ma almeno una passerella tra due proposte elettorali che, se messe insieme, potrebbero mandare a casa la destra lombarda dopo un trentennio, proprio quando è trionfante nel governo nazionale e proprio quando si apparecchia a scrollarsi di dosso anche gli ultimi contrappesi moderati e centristi in Lombardia. Intanto, finalmente, in queste ore, il Partito Democratico ha partorito la candidatura: Pierfrancesco Majorino. Un uomo stimabile, non un topolino; ma, del resto, il PD non è certo una montagna.

Da socialisti, affrontiamo pragmaticamente il momento: non chiudiamo a una soluzione che non è la nostra, convinti che il cammino verso la socialdemocrazia italiana sia, fatalmente, non agevole, e imponga l’ingestione di qualche batrace. Aspettiamo dunque Majorino al tavolo di coalizione, per sentire come si propone di allargare una proposta politica che, senza allargamento, non è certo vincente. Sperando che abbia l’orgoglio dei riformisti e non il pregiudizio degli ottusi. Perché, oggi, questo è il punto: prevarrà il pregiudizio dei duri e puri? Soccomberemo all’orgoglio apparatčiki o abbracceremo il gradualismo del possibile e utile? A Majorino il compito di rispondere.