In nome dell’emergenza sanitaria si chiudono i porti ai migranti. L’Italia non è più un porto sicuro. Lo dice un decreto firmato l’altro ieri sera da quattro ministri proprio mentre la nave Alan Kurdi della Ong tedesca Sea Eye naviga a poche miglia da Linosa e Lampedusa. A bordo 145 naufraghi salvati al largo della costa libica. È l’apertura di un nuovo fronte dell’emergenza: se l’Italia non è più un porto sicuro, a causa della pandemia Covid-19, di certo non esiste un porto sicuro in tutta Europa. A firmare il decreto ben 4 ministri: Paola De Micheli (Infrastrutture e Trasporti), Luigi Di Maio (ministero Affari Esteri, e Cooperazione internazionale), Luciana Lamorgese (Interno), Roberto Speranza (Salute).

Il decreto innanzitutto premette che “in considerazione della situazione di emergenza connessa alla diffusione del Coronavirus, dell’attuale situazione di criticità dei servizi sanitari regionali, e all’impegno straordinario svolto dai medici e da tutto il personale sanitario per l’assistenza ai pazienti Covid-19, non risulta possibile assicurare sul territorio italiano la disponibilità di tali luoghi sicuri senza compromettere la funzionalità delle strutture nazionali sanitarie logistiche e di sicurezza dedicate al contenimento della diffusione del contagio e di assistenza e cura ai pazienti Covid-19”. Poi aggiunge che alle “persone eventualmente soccorse, tra le quali non può escludersi la presenza di un contagio, deve essere assicurata l’assenza di minaccia per la propria vita, il soddisfacimento delle necessità primarie e l’accesso a servizi fondamentali sotto il profilo sanitario, logistico e trasportistico”.

Mentre la destra plaude, accusando semmai il Governo di aver aspettato troppo, è rivolta nel mondo solidale. «Le Ong Sea-Watch, Medici Senza Frontiere, Open Arms e Mediterranea esprimono la propria preoccupazione per la decisione del governo italiano di strumentalizzare la situazione di emergenza sanitaria per chiudere i propri porti alle persone salvate in mare da navi straniere, riferendosi ancora una volta, di fatto alle navi civili di ricerca e soccorso – recita un comunicato congiunto. Con un decreto il cui scopo evidente è quello di fermare le attività di salvataggio nel Mediterraneo, senza fornire alternative per salvare la vita di chi scappa dalla Libia, l’Italia ha privato i suoi porti della connotazione di “luoghi sicuri”, propria di tutti i porti europei, equiparandosi a Paesi in guerra o dove il rispetto dei diritti umani non è garantito e operando una selezione arbitraria di navi a cui l’accesso è negato.

Sarebbe stato possibile trovare molte soluzioni diverse, conciliando il dovere di garantire la salute di tutti a terra con quello di soccorrere vite in mare, un dovere che non può mettere sullo stesso piano le navi di soccorso con le navi da crociera. In un momento in cui l’Italia chiede e ottiene solidarietà da parte dei suoi partner internazionali e delle stesse Ong per far fronte all’emergenza Covid-19, il governo dovrebbe mostrare la stessa solidarietà verso persone vulnerabili che rischiano la loro vita in mare perché non hanno alternative…».

E ancora: «Il decreto di fatto strumentalizza l’emergenza sanitaria, riprendendo l’impianto già utilizzato nel recente passato per ostacolare le attività di soccorso in mare, in un momento difficile in cui più che mai sarebbe necessaria un’assunzione di responsabilità a livello europeo per poter ottemperare all’obbligo di soccorso….». Duro è anche il pronunciamento del Tavolo Asilo Nazionale, secondo cui «si attacca ancora una volta il concetto internazionale di Porto Sicuro, la cui affermazione ha trovato conferma nelle decisioni della nostra magistratura».

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.