L’agenda politica si è arenata in dibattiti demagogici sulle infrastrutture (No Tav, Autostrade), le pensioni (l’odiata Fornero), la povertà e il lavoro (l’equivoco reddito di cittadinanza). Ha usato l’idolo polemico del neoliberismo per riesumare ubbìe stataliste (Ilva, Alitalia). Ha tradotto questioni reali come le migrazioni e la sicurezza in atti simbolici come i porti chiusi e l’autodifesa. Ha oscillato geopoliticamente tra Europa e Italexit, Trump e Putin. Ha infiltrato il discorso pubblico con i veleni del giustizialismo. Onestà, onestà, onestà è lo slogan che nel 2018 poté raccogliere addirittura il 32 per cento dei suffragi degli italiani. Una pesante regressione culturale.

Ebbene, che fare di questa eredità? Il nuovo bipolarismo deciderà di voltare pagina o continuerà a giocare con la pancia del Paese? La destra tornerà a essere centrodestra, valorizzerà le sue medaglie amministrative, approderà nuovamente a Bruxelles, sarà liberale e garantista o insisterà sulla retorica del citofono? Una decisione non facile, ma strategica per il futuro del sistema politico italiano. E il Pd? Allargherà il campo assorbendo, oltre che i voti, anche gli umori e le ideologie dell’alleato grillino? O costruirà un profilo di più ampio respiro, di più lungo periodo, ribadendo (se davvero ne ha) le proprie componenti mercatiste, sviluppiste, garantiste, istituzionali? Deciderà cioè di essere sinistra populista o centrosinistra liberale? Il partito di Bonaccini o il partito di Emiliano?

Sembra questa l’agenda politica che attende il Paese. Il ritorno a un bipolarismo della ragione o la stabilizzazione di un viscerale bipolarismo delle “estreme”. Ed è inutile aggiungere che, in un modo o nell’altro, la cosa inciderà profondamente sul futuro di famiglie, lavoratori, imprese. Ma anche sulla forza della democrazia rappresentativa e sulla solidità dello Stato di diritto.