L'editoriale
Per il Quirinale? Io voto Fausto Bertinotti
Fausto Bertinotti al Colle? Ovvero del “Possibile”. Estate, quartiere Prati, le aiuole di viale Mazzini, esatto: Roma. Poco distante dalla nostra panchina, la libreria già “Offidani”, per lungo tempo gestita dall’erede di Spartacus Picenus, l’autore de La guardia rossa, proverbiale canto dei comunisti; neanche a farlo apposta, subito accanto ci sono i locali interrati dov’era la sezione “Mazzini” del Pci, e ancora il traffico ingentilito dalla pandemia, l’ufficio postale d’impronta “littoria”, via Carlo Poma, ove l’omonimo delitto, infine, sulla già menzionata panchina, Duccio Trombadori, storico d’arte, uomo avveduto di mondo e di cose politiche. Con il suo festivo gilè da pescatore, suggerisce, snocciolando dati e riflessioni, un’ipotesi che chiama e innalza in causa esattamente Bertinotti.
Qualora la corsa per il Quirinale dovesse raggiungere un punto d’impasse, tra veti, incomprensioni, baruffe tra gli schieramenti, fuori da ogni doverosa sintesi e compromesso, Trombadori non esclude affatto, una possibile, attendibile, se non vincente, candidatura di Fausto Bertinotti alla presidenza della Repubblica. O, se proprio non vincente, nel peggiore degli esiti dettati dalle circostanze, comunque dialetticamente “utile”. Del tutto attendibile perfino a dispetto di chi dovesse trovarla incomprensibile, discutibile, fantascientifica. Non è un caso che nei giorni scorsi, anche altri hanno ipotizzato, perché no, la medesima candidatura sullo scaffale dei mondi “possibili”. Andando così oltre il banale chiacchiericcio che elenca ciò che andrebbe rimproverato a Bertinotti: su tutto, brilla l’imitazione che ne fece Corrado Guzzanti: «Cosa ho detto? Non ho detto un cazzo! Il comunismo è fantasia».
Di recente, si è perfino ironizzato sui ritratti di Mao realizzati da Andy Warhol che l’ex presidente della Camera mostra in casa, quasi affermando che l’uomo meriti un capitolo ulteriore tutto personale nel libro di Tom Wolf, Radical chic, nell’ordine: il party serale a casa di Leonard Bernstein, le Black Panthers, l’Upper East Side, e infine ecco lì apparire, membro di diritto, anche Fausto Bertinotti, garantito concessionario italiano di quel certo mood politico mondano. Banalità portami via. Ora, assodato che unicamente nel pensiero manicheo esiste la convinzione di porre veti morali circa le frequentazioni di un libero individuo, cerchiamo semmai di spiegare cosa significhi l’aggettivo “possibile” soprattutto se declinato immaginando Bertinotti al Quirinale, quando Mattarella dovrà passare le consegne. Non sembri un paradosso, eppure, filogeneticamente ragionando, Fausto B. non è mai stato “comunista”, sebbene abbia diretto un partito che prendeva quel nome. Lo si voglia o no, l’uomo giunge dalla tradizione socialista, dal sindacalismo cosiddetto rivoluzionario, il nome di Georges Sorel (non di Jean, l’attore) forse potrà dire qualcosa agli avveduti in storia dei filoni del movimento operaio; il politico ancora ha un profilo laico, anzi, “liberale”, proprio del liberal-socialismo che perviene a noi dall’azionismo di Carlo Rosselli, il simbolo del pugnale fra due piccole fiamme accompagnato dal motto “Insorgere Risorgere”. Valga ancora il nome di Riccardo Lombardi.
A chi volesse rimproverargli il dialogo con il mondo cattolico, l’attenzione verso il pontificato di Bergoglio, non occorrerà neppure replicare. Va aggiunto che il centro moderato, di matrice analoga alla sua, pensiamo all’anima “socialista” di Forza Italia, non avrebbe alcuna difficoltà a farne il proprio candidato, e non certo semplicemente “di bandiera”. Il fatto che si tratti di un laico, sebbene dialogante pure con gli eredi di Don Giussani, legittimerebbe la necessità dell’alternanza. E c’è ancora il suo profilo garantista, estraneo a ogni estremizzazione giustizialista, non è un caso che le pagine di questo giornale ne accolgano puntualmente pensieri e voce, anche a dispetto del rifiuto della complessità che altrove sembra prevalere. A chi dovesse obiettare che, intervistato dal Corsera nel 2005, Bertinotti ebbe a dichiarare: «Certo: la proprietà privata non si può abrogare per decreto, ma è un obiettivo», si potrà rispondere che, oltre ogni improbabile velleitarismo marxista, negare dinamicità alla storia significherebbe immaginare il genere umano ancora alle prese con l’imposizione dello “ius primae noctis”. Se non proprio tutto, molto è mutato dal tempo in cui, come racconta in un brano De André, il re aveva pieno diritto sul destino della marchesa, in quanto moglie di suddito.
Tutto ciò sia detto e immaginato oltre i nostri possibili desiderata. Lo ripetiamo: è questa innanzitutto una riflessione sul “Possibile”. E nel dire così non riteniamo necessario ribadire che attraverso Bertinotti i valori fondanti della democrazia repubblicana, antifascismo in primis, resterebbero inviolati, intatti. Anche grazie alla passione, sia pronunciato retoricamente, per i giacimenti del pensiero culturale che altrove, perfino a sinistra, sembrano invece ricevere indifferenza, disattenzione. Pure per il ceto politico vale ciò che Pasolini riferiva alla realtà italiana: «Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa». Bertinotti dà la certezza che messo di fronte a una domanda, metti, su ciò che è accaduto il secolo scorso, una settimana appena, non mostrerà negli occhi lo sgomento del pesce rosso e della sua memoria corta, inesistente, bruciata dalla banalità semplificatoria propria, metti, d’altri, ma no, diciamola bene: di un Veltroni e del suo circo. Possedere contezza delle cose.
Nel riferire stupore di fronte all’ipotesi ventilata con assoluta gratuità, si nasconde l’incapacità di molti nel comprendere il concetto stesso di Utopia. Che cos’è l’Utopia? Serve per andare avanti, ha provato a spiegare chi riflette su questo genere di nodi della storia e, diciamolo pure, del progresso. Sulla tomba di Herbert Marcuse a Berlino c’è inciso “Weitermachen!”, ovvero “Continuare!”. Herbert, diversamente dall’amico Adorno, non sarebbe rimasto tramortito se tre studentesse, raggiungendolo in cattedra, si fossero scoperte il seno e abbracciandolo, coprendolo di petali di rose, simulando un orgasmo, lo avessero di fatto mandato in pensione. Avvenne all’Università di Francoforte nel 1969. Idem, immaginiamo, Fausto. Scusi, Duccio Trombadori, come faceva la canzone? “Ecco s’avanza uno strano soldato…”. Esatto, Bertinotti!
© Riproduzione riservata