Fin dalle elementari, sono stato anche il mio omozigote francese per via di un padre sempre in viaggio a Ginevra (francese fino a Jacques Rousseau) e non pretendo di avere una identità doppia. Però dovendo conviverci capii alla svelta che noi e i francesi siamo diversissimi, reciprocamente attratti, ma distanti e incompatibili. Se c’è un’espressione che detesto è: i cugini d’Oltralpe. Cugini di chi?

Fanfani e il colpo di Stato d’Oltralpe

Poi la Francia ha attraversato ore molto buie quando il Partito comunista francese era alleato dell’Unione Sovietica, a sua volta alleata di Hitler. La Resistenza non è stata dominata dai comunisti ma dall’allampanato generale de Gaulle che inventò nella sua casa privata di Colombey-les-Deux-Églises la Quinta Repubblica presidenziale, con un Presidente all’Eliseo e un Premier ministre al Matignon. Pochi ricordano la furia impazzita di tutti gli italiani di destra e di sinistra di allora: i democristiani a partire da Amintore Fanfani equipararono la nuova Costituzione francese al colpo di Stato. Del resto in Italia si sono perseguitati galantuomini e patrioti repubblicani come Randolfo Pacciardi con l’accusa di “gollismo” equiparata nella propaganda al fascismo, cioè nel suo opposto. Una prova alla rovescia l’abbiamo avuta in Romania proprio ieri quando la Corte suprema rumena ha contestato il risultato filorusso delle elezioni che dava per vincente Georgescu, uomo di Putin, grazie alla manipolazione di Tik-Tok.

Le false convinzioni

Il problema è che noi italiani, quasi tutti, siamo inclini a convincerci che i francesi siano fratelli più che cugini, salvo alcuni dettagli sull’arte del bere e del mangiare. E poiché ci sentiamo molto competitivi fremiamo dal desiderio che i francesi fremano altrettanto dal desiderio di essere come noi. Ma non è così. Napoleone Bonaparte non parlava francese con un po’ di accento italiano. Napoleone parlava bene soltanto il toscano, ma si adattava al francese senza mai eccellere e senza confondere la parlata delle zie con quella dei compatrioti. Ma detestava gli italiani, vecchissima questione, perché una massa poderosa di italiani sono convinti di detestare i francesi. E, per la legge dello yo-yo, di essere detestati. Si può dire che la Francia è sempre stata – anche – un Paese intimamente fascista che dialogava con rispettosa gioia con Mussolini. Ma la necessità di mettere una pietra sopra l’alleanza fra sovietici e nazisti impose agli Alleati di chiudere entrambi gli occhi sulle malefatte francesi.

La Francia ci guarda davvero dall’alto?

Fu così che la Francia ebbe riconosciuto un ruolo abusivo di grande potenza internazionale, conservando in piedi gran parte del suo impero. A quanto pare se lo può permettere. La Francia ci guarda davvero dall’alto? Forse, ma non tanto perché loro hanno un governo stabile anche nel marasma, ma perché sono e si sentono una grande potenza rispetto alla quale ci sono Paesi – il paragone è americano, più volte citato da Rampini – come l’Unione europea pieni d’erba e di passi di danza, che non spedirebbero un solo soldato a combattere. Salvo le sue rare scorribande nell’Africa Occidentale (ormai in declino perché battuta dalla russa Wagner) la Francia mantiene la postura inerme, imponente, del grande erbivoro preistorico.
Intorno alla Francia ci sono molti T-Rex, amici che non sono affatto erbivori, tutti paesi prontissimi a picchiare con la Russia.

La Francia ci è tanto poco cugina da rivelarsi un paese imperiale collegato alla Cina, che produce armi, sottomarini atomici, e una potenza che con noi ha poco a che spartire. Ed è inoltre un paese centralizzato con una eterna politica che è quella nata da Robespierre e anche quella di de Gaulle, una Francia che manda ad uccidere chi vuole e dove vuole.
La Repubblica federale tedesca non c’è più, noi non abbiamo nessuna caratteristica in più salvo quella solida per cui la Meloni regge ma poi la logorano, e puntualmente risalta fuori fra noi e la Francia l’antico dissapore per cui siamo tutti lì, col centimetro a terra a misurare se ora stanno più avanti loro quanto a stabilità di governo o noi italiani che abbiamo avuto la più lunga stabilità democristiana. E poi forse ci farebbe bene pensare che i francesi non sono affatto insoddisfatti dalla politica: è la loro carne, i loro fuochi, le rivolte, la barricate. I francesi non odiano la politica ma la adorano: si scannano sulla politica, si fanno a pezzi sulla politica. In politica estera la Francia punta a scardinare la Russia, farla a pezzetti dividerli con la Cina, far entrare la Russia bianca tutta vestita da Yves Saint Laurent e quindi uscire dalla crisi.

Perché Italia e Francia non sono alla pari?

Italia e Francia non sono alla pari e non lo sono mai state. Difficilmente troverete dei coloni francesi negli Stati Uniti: sì, ci sono francesi che vivono negli Stati Uniti, ma sono quelli che hanno sistemato la Louisiana, dato una torcia liberty all’ingresso del porto di New York. I francesi ci somigliano molto poco per abitudini, accenti, modi di pensare. Ciò non di meno, si fa finta che esista una perenne gara, una specie di tiro a segno con lancio delle ricotte.
I francesi sarebbero nostri cugini, quasi sempre maggiori perché se vogliono vengono e ci danno un sacco di botte come hanno fatto Carlo VIII e Napoleone. Ma il punto è che viene vituperata e banalizzata, una qualità che si chiama cuginanza francese. Parentela insopportabile. Di questi ultimi tempi è diventata una vera persecuzione perché è ormai in uso nelle cronache e analisi questa specie di gioco dei piattini volanti con cui si pensa di misurare le variazioni generalmente in peggio della cuginanza coi nostri vicini d’Oltralpe.

Sarebbe bene togliersi dalla mente tale cuginanza, che forse un tempo esisteva davvero, quando gli italiani emigrati in Francia si chiamavano e si chiamano ritals. E i ritals sono gente di ghetto, che fa la sarta o il falegname, ed appartiene ad un passato morto senza lasciar tracce.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.