Cento anni fa nasceva Luciano Lama. Probabilmente, insieme a Di Vittorio e Trentin, è stato l’uomo che più di tutti ha contribuito a rendere grande la Cgil. L’ha guidata negli anni nei quali il sindacato era più forte, e il movimento operaio era tra i protagonisti assoluti della vita politica in Italia. Oggi il movimento operaio è stato sconfitto, è uscito di scena. Il paese si è spostato a destra. Si sono spostati i poteri reali, che allora erano in gran parte nelle mani della politica e del sindacato. Ora sono fuori. Nella finanza, nella magistratura, nella burocrazia. Il sindacato conta molto poco.

Mi è tornata in mente questa storia proprio sabato scorso, quando un gruppetto di fascisti ha invaso la sede centrale della Cgil. Lo ha scritto anche Fabrizio Cicchitto su questo giornale: ai tempi di Lama una cosa del genere non era nemmeno immaginabile. Le mura della Cgil erano più robuste di quelle di Stalingrado. E non solo le mura. L’influenza politica che il sindacato aveva sulla vita del paese era gigantesca. Gli stessi partiti, spesso, dovevano tenerne conto. E il collegamento con la società, essenzialmente con il mondo dei lavoratori, era d’acciaio. Erano straordinarie anche le capacità di pensare, di inventare politica, conflitti, mediazioni, soluzioni, riforme. Lama è stato un personaggio molto controverso. Per le posizioni che ha preso, per quelle che non ha preso. Per l’originalità della sua posizione politica. Per la capacità di vincere e perdere molte battaglie.

Lama era un ragazzo romagnolo, nato in un paese in provincia di Forlì e da giovanissimo partecipò alla Resistenza. Da socialista. Poi, subito dopo la Liberazione, divenne comunista ma soprattutto divenne sindacalista. Sicuramente Lama è stato comunista, ma non era la sua caratteristica principale. Come altri esponenti della Cgil, prima che comunista o socialista lui era sindacalista. Penso a Trentin, al mio amico Bertinotti, a Del Turco, a Fernando Santi e soprattutto a Giuseppe Di Vittorio. Loro ragionavano partendo da lì: dal sindacato, dal lavoro, dai rapporti col capitale, con la produzione, con la divisione del benessere. Ci sono diversi periodi della vita di Lama. Prima la Fiom, poi la prima metà degli anni ‘70, infine l’ultimo decennio della sua direzione del sindacato.

I primi due periodi furono soprattutto di organizzazione del conflitto. Il terzo periodo è quello del Lama più governativo. Quando arrivò alla Fiom, nel ‘58, iniziava appena la risalita del movimento sindacale dopo le batoste ricevute negli anni ‘50, soprattutto dalla Fiat di Valletta. Comunque sono anni di lotte durissime, e di conquiste scarse. Quando nel ‘61 Lama lascia la Fiom al giovane Trentin (Trentin aveva 34 anni) la condizione nelle fabbriche metallurgiche è ancora durissima. La svolta sarà quasi otto anni dopo, con l’autunno caldo, e poi dopo ancora con il contratto del 72 che introduce i Consigli in fabbrica, sancisce la definitiva sconfitta dell’analfabetismo con le famose 150 ore all’anno di istruzione, alza i salari, diminuisce l’orario, elimina le gabbie salariali, frena il cottimo e l’uso degli straordinari, aumenta l’occupazione. Lama, dopo un periodo di relativa ombra, sale sulla grande ribalta nazionale proprio all’indomani di quell’autunno caldo. Viene eletto segretario generale della Cgil nel 1970. Lo stesso anno nel quale viene varato lo Statuto dei lavoratori, al quale aveva lavorato assieme al ministro del lavoro socialista, Brodolini, e insieme a Gino Giugni, socialista, e poi al nuovo ministro democristiano Carlo Donat Cattin, perché Brodolini morì pochi mesi prima di vedere l’approvazione dello statuto.

Gli anni del grande successo di Lama sono i primi 70. Divisi in due tranche. Fino al ‘75 è ancora in campo il Lama lottatore. Poi diventa il mediatore e il ricercatore di equilibri compatibili con il governismo. Nel ‘75 ottiene il suo successo più clamoroso. È il punto unico di contingenza. Firma l’accordo con il presidente di Confindustria che è Giovanni Agnelli. Si tratta di questo. Il meccanismo della contingenza (scala mobile) prevedeva un adeguamento automatico della contingenza ogni tot mesi, deciso dal governo attraverso il calcolo dell’aumento del costo della vita. L’aumento era in percentuale. Se guadagnavi 100 mila lire al mese e la contingenza aumentava di un punto, andavi a guadagnare 101 mila lire al mese. 1000 lire in più. Se guadagnavi un milione lo scatto di contingenza era dieci volte più alto: non mille ma 10 mila lire. Il punto unico di scala mobile stabiliva invece che l’aumento era in cifra assoluta e identico per tutti. Se lo scatto era di 5000 lire, era di 5000 lire per l’operaio appena assunto e per il direttore generale. È stata la più clamorosa misura egualitaria mai presa nella storia della repubblica. Poi svanì negli anni 80 e nei 90. Ebbe due conseguenze. La prima fu una lenta equiparazione degli stipendi, a danno degli stipendi più alti. La seconda fu una spinta all’inflazione.

L’Italia, come tutto l’occidente, visse tra i settanta e gli ottanta una crisi economica complicata. Dominata dall’inflazione. Lama portò il sindacato su posizioni filogovernative. Lo fece con la famosa svolta dell’Eur, nel ‘77, quando impose la linea dei sacrifici per salvare l’Italia. Perfettamente compatibile con la politica del Pci che si apprestava a entrare in maggioranza (lo fece l’anno successivo). Fu molto contestata questa svolta. Dai movimenti giovanili, soprattutto. e Lama ricevette la più sonora sconfitta della sua vita, nel febbraio del ‘77, quando andò a tenere un comizio all’università di Roma e il palco fu assaltato dagli studenti che misero in fuga lui e il sindacato. Persino Fabrizio de André gli dedicò una canzone non certo amichevole. Siamo all’ultimo Lama. Quello stretto tra la sua linea riformista e la svolta a sinistra che Berlinguer impose al Pci dal 1980 in poi, giungendo fino a minacciare l’occupazione della Fiat e poi a fare ostruzionismo contro il decreto con il quale il governo Craxi aveva tagliato la scala mobile.

Scontri epici (allora si litigava su cose più serie del green pass) e Lama si trovò a dover appoggiare Berlinguer ma a malincuore. Riuscì comunque a salvare l’unità del sindacato. E così, quando pochi mesi dopo Berlinguer morì durante un comizio, Lama, di fatto, si candidò alla guida del Pci su una linea riformista e forse persino filosocialista. Se avesse vinto probabilmente la storia della sinistra italiana sarebbe stata tutta diversa. Vinse Alessandro Natta. Il Pci scelse l’usato sicuro e l’antisocialismo. Cioè scelse una linea di sinistra? No, Natta era un conservatore, non era l’uomo dei conflitti. Ma garantiva la tradizione. Il Pci scelse la tradizione. E poi scivolò, piano piano, fino a trasformarsi nel partito di Enrico Letta.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.