“Se in un carcere di massima sicurezza come quello di Parma lo picchiano io di chi mi devo fidare?”. Nunzia Toto è nell’angoscia più totale pensando alle sorti di suo fratello Giuseppe, 42 anni. “Mercoledì ho videochiamato mio fratello come sempre – racconta Nunzia – e lui era da solo e con il volto tumefatto dalle botte. Gli occhi neri e il naso rotto. Mi ha detto che due detenuti lo avevano prelevato dalla sua cella per portarlo in lavanderia dove lo hanno picchiato in presenza di un poliziotto penitenziario”.

“Mi ha detto che forse aveva gridato troppo forte per chiedere le medicine e magari i due detenuti si erano indispettiti – continua Nunzia – Poi mi ha supplicato di non denunciare quello che mi aveva appena raccontato. Ma io ho detto tutto ai carabinieri perché non è possibile che in carcere succeda tutto questo. Se continua così a fine mese lo trovo morto? Ed è anche un carcere di massima sicurezza, dove sta la sicurezza per mio fratello?”

Nunzia racconta che Giuseppe è in carcere già da 12 anni, prima a Poggioreale, poi tre anni fa è stato trasferito a quello di massima sicurezza di Parma, lo stesso dove anche Cutolo è stato recluso. Giuseppe da quando è entrato in carcere per la prima volta ha cominciato a stare male. “È anoressico, pesava più di 100 chili, ora ne pesa 38 e non cammina manco più, è bloccato sulla sedia a rotelle”.

Ha una condanna a 34 anni per concorso in omicidio. La famiglia ha denunciato più volte che era stato vittima di maltrattamenti in carcere. “Ha sempre avuto paura – continua Nunzia – Quando era a Poggioreale ha anche tentato il suicidio. Lo ha salvato la volontà di Dio e la bontà di un detenuto suo amico che è arrivato in tempo nella sua cella. È vivo per miracolo e oggi sembra sempre che sta sedato, lo riempiono di farmaci, non sta bene”.

“Non lo sentivo da 15 giorni – continua tra le lacrime Nunzia – perché l’ultima volta non c’era più spazio per la prenotazione della nostra videochiamata. Poi quando l’ho visto ieri in videochiamata così pieno di lividi non ci ho visto più. Ho cominciato a gridare, volevo parlare con uno dei poliziotti penitenziari ma non c’era nessuno con lui. Forse non me lo hanno fatto vedere per 15 giorni perchè aveva ilo volto troppo tumefatto? Bisognava aspettare che i lividi si assorbissero prima di farlo parlare con me? Voglio sapere cosa gli è successo e dove stavano le guardie quando lo hanno picchiato. O non importa a nessuno perché i detenuti sono carne da macello?”.

Nunzia ha parlato in videochiamata con il fratello che le ha raccontato tutto. Una conversazione insolitamente lunga e apparentemente senza la sorveglianza di nessuno. “Giuseppe ha minacciato nuovamente il suicidio se io avessi denunciato perché lui ha paura – ha concluso Nunzia – E se la settimana prossima lo trovo morto, chi me lo dice, visto che qua nessuno si muove e nessuno sa niente? Chi me lo dice a me? Non mi fermerò, continuerò finchè non esce la verità”.

La denuncia della famiglia di Giuseppe Toto è stata raccolta da Pietro Ioia, garante dei detenuti del Comune di Napoli. “Dopo la segnalazione che ho avuto come garante, non voglio credere che un poliziotto penitenziario chieda a due detenuti di picchiarne un altro – ha detto Ioia – Non posso crederlo, se fosse così significherebbe tornare indietro di secoli e io non ci credo. Spero che nel supercarcere di Parma si faccia luce su questo episodio. Spero che si analizzino le telecamere che ci sono in quel carcere per appurare tutta la verità”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.