Quando nel 1989 è entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale si dissero una serie di colossali scemenze di palese quanto perniciosa inattuabilità. Analizzarle tutte qui sarebbe impossibile. La prima cosa che si disse, però, fu una cosa assolutamente vera, vale a dire che il nuovo codice era un codice per ricchi perché già allora era chiaro che solo un imputato ricco avrebbe potuto sostenere i costi, la complessità e la già allora prevedibile e interminabile durata di un processo con il rito “ordinario” che, almeno nei sogni del legislatore, avrebbe però dovuto essere un’eccezione.

La seconda cosa che si disse fu che il codice avrebbe potuto reggere solo con un massiccio ricorso ai cosiddetti riti alternativi, vale a dire patteggiamento e giudizio abbreviato e la spinta a farvi ricorso doveva essere la riduzione di un terzo della pena in caso di condanna. Per dare a tutti la possibilità di difendersi, tenuto conto che la cosa era già prevista dalla Costituzione e addirittura dai trattati internazionali, venne  finalmente introdotta, sia pur con quarant’anni di ritardo, la legge sul patrocinio a spese dello Stato, Stato che assunse su di sé anche l’onere di retribuire la difesa d’ufficio dei minorenni, delle persone offese da taluni reati e, in via residuale, degli imputati “difesi” d’ufficio privi di mezzi. Detti così potrebbero sembrare oneri notevoli ma lo Stato spende molto di più per intercettazioni e soprattutto stipendi, e bisogna ricordare che in molti Paesi la prima voce di costi per la giustizia è proprio per la difesa degli imputati.

A questo punto, complice anche l’impoverimento dell’avvocatura determinato dalla contemporanea esplosione degli iscritti agli albi, si sono verificati taluni gravissimi fenomeni degenerativi che coinvolgono il legislatore e parte di magistratura e avvocatura oltre che di personale amministrativo. So perfettamente che quello che mi accingo a scrivere farà storcere il naso a molti e scontenterà moltissimi ma chi si sforza di dire la verità non può pretendere di piacere, quella è cosa per politici ed io non lo sono e non ambisco a diventarlo.

Quasi subito dopo l’entrata in vigore del codice Vassalli, anche per la contemporanea abolizione dell’immunità parlamentare e l’inutilizzabilità di fondamentali istituti deflattivi come l’amnistia nonché per la confusione generatasi intorno alla prescrizione, il sistema è saltato completamente e i tempi di celebrazione dei processi si sono fatti infiniti, creando una sorta di impunità diffusa, nelle migliori delle ipotesi legata al caso. In pratica sono stati celebrati solo alcuni processi ad alto impatto politico-mediatico e, talvolta, quelli per detenuti. A questo punto si è approfondita la scissione tra il rito dei ricchi, vale a dire il rito ordinario, e il processo dei poveri che spesso optano per i più rapidi ma comunque interminabili giudizi abbreviati.

È evidente che i giudici devono almeno contenere gli arretrati e per farlo devono pronunciare più sentenze possibile, e quindi hanno bisogno di difensori che non creino problemi cui  liquideranno compensi in sé magri ma, rapportati a quanto generalmente si fa, piuttosto ragguardevoli, per cui si è creato un patto non detto (almeno si spera) in cui il difensore d’ufficio non fa alcun problema e lascia acquisire tutti gli atti del pm, il giudice lavora assai meno, chiude i processi e liquida agli avvocati di turno qualcosina, anche perché la procedura è talmente delirante, assurda e farraginosa che, con il rito ordinario  arrivare a sentenza in meno di dieci anni per grado è praticamente impossibile.

Ma in ogni caso, anche con i giudizi abbreviati, ho visto processi semplicissimi durare nei vari gradi anche diciotto/venti anni per poi comunque prescriversi. A questo si somma l’incomprensibile crociata di diversi giudici contro la legge sul patrocinio a spese dello Stato. Quello che molti magistrati non sanno o non capiscono è che il patrocinio a spese dello Stato non è assolutamente un regalo alle mafie o un incentivo a delinquere ma, bensì, una formidabile arma per combatterle ed infatti, piaccia o non piaccia, una delle motivazioni alla base delle associazioni criminali è la necessità di provvedere ai costi dell’assistenza legale in favore degli associati che spesso si affiliano anche per questo. Inoltre, lasciando libero l’imputato nella scelta del difensore si attenua la forza del vincolo omertoso, che poi è il vero collante dei sodalizi criminali.

Va detto che assai spesso anche i giudizi abbreviati si protraggono per molte udienze e, tra l’emissione del decreto di liquidazione e l’effettivo pagamento, tra ritardi, inefficienze e smarrimenti in diverse sedi, passano anni ed anni. In altri termini, a meno che l’avvocato operi per gioco e non per dare dignitoso sostegno a sé ed alla sua famiglia, difendere un imputato con il rito ordinario, soprattutto se ammesso al patrocinio a spese dello Stato, rappresenterebbe un vero e proprio impossibile patto con la morte. Nel tempo, poi, si è addirittura istituzionalizzata la differenza tra accusa e difesa, ed infatti è molto raro che un imputato possa disporre di risorse economiche e soprattutto culturali idonee a provvedere alla sua difesa e, anche se ciò fosse, l’enorme numero di avvocati fa da calmiere agli onorari e questo inevitabilmente si scarica sulla qualità dell’assistenza che, in genere per l’insufficienza delle risorse disponibili, è di qualità modestissima.

Del resto, se così non fosse, pur con la disparità di forze esistente tra accusa e difesa il sistema per la sua assoluta inefficienza collasserebbe immediatamente. Soprattutto nei processi per criminalità organizzata, che solitamente sono a carico di numerosi imputati assai spesso detenuti e sono quelli di maggior complessità e dove più spesso si annidano errori di ogni tipo e dove quindi maggiore dovrebbe essere l’impegno della difesa, si assiste ad un massiccio ricorso ai giudizi abbreviati. A questo punto la domanda è: perché?

Ebbene, la risposta a questo interrogativo è molto semplice: un processo di questo tipo, se celebrato con il rito ordinario, durerebbe decenni e gli imputati, se detenuti, prima o poi tornerebbero in libertà e, dalla mia esperienza, in un modo o nell’altro non si concluderebbe quasi mai con la condanna degli imputati per cui accade che gli avvocati siano costretti a suggerire di ricorrere ai giudizi abbreviati per la generalizzata mancanza di risorse per affrontare i tempi e l’impegno dei giudizi ordinari. Si potrebbe obbiettare che l’imputato che sia privo di risorse può sempre ricorrere al patrocinio a spese dello Stato, lo garantisce la legge, la Costituzione ed anche la Carta dei diritti dell’uomo.

Balle! Solo e soltanto balle, e questo per una serie di ragioni: molti avvocati, e paradossalmente spesso i meno affermati, anche per la modestia dei compensi e per i tempi biblici per la loro liquidazione che si sommano ai tempi altrettanto biblici dei processi, o anche solo per darsi un tono, evitano di ricorrere al patrocinio a spese dello Stato che vedono o fingono di vedere come un vulnus del loro incerto prestigio professionale. Poi vi sono delle limitazioni legislative per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, solo in parte eliminate dalla Corte costituzionale, e vi sono dei limiti anche ai compensi liquidabili per cui, o lavori per un anno e male o lavori per vent’anni e bene, è assolutamente la stessa cosa.

Mentre il pm dispone di risorse, mezzi e garanzie illimitate per sostenere l’accusa, per la difesa invece c’è la diffusa povertà degli imputati e le esigenze di bilancio e, si badi bene, queste non sono prassi distorte, sono leggi e leggi che nessuno contesta a cominciare dagli avvocati. Inoltre, poi, anche se l’imputato non è povero già da prima, solitamente a renderlo povero è il processo. A Napoli ci sono ancora in primo grado, ed i gradi di giudizio nel nostro ordinamento sono tre, processi per fatti del 1996 ed ancora non si conoscono le motivazioni della sentenza ma, nel frattempo, numerosi  imputati assolti hanno vissuto con la spada di Damocle addosso per 26 anni! In passato un notissimo imprenditore e politico di cui è inutile fare il nome è stato imputato in decine e decine di processi e solo in un caso, per altro secondo me opinabilissimo, è stato condannato.

Come mai? La magistratura di tutta Italia è stata benevola nei suoi confronti? Non credo proprio, altrimenti non lo avrebbero mai imputato in così tanti processi, la pura e semplice e banalissima verità è che aveva i mezzi per potersi difendere. Del resto ho verificato che anche per gli imputati poveri, se seguiti con attenzione, le assoluzioni fioccano ma il problema vero è che è sempre più difficile farlo perché non vi sono le risorse né pubbliche né private. E allora come mai le carceri scoppiano e ci sono tanti reati? Vuoi forse dire che buona parte delle persone che sono in carcere non dovrebbero starci? La risposta è certamente sì, in carcere molti condannati non dovrebbero starci, magari molti di loro meriterebbero anche di stare dove sono ma certamente, a rigor di carte e di fatti, non dovrebbero starci in base a ciò di cui sono accusati.

Se le cose stanno in questo modo, quindi, a cosa serve questa enorme struttura con l’enorme pletora di avvocati che vi si aggira in cerca di sbarcare il lunario? La riposta è semplice e la diede già Kafka cento anni fa nel suo celeberrimo romanzo Il processo, la struttura o meglio il sistema giudiziario serve a distribuire danaro e potere e, per giustificare tutto ciò, ogni tanto deve distruggere la vita del signor K di turno, che per chi non conoscesse la storia è il protagonista del romanzo di Kafka e, alla fine di un processo lunghissimo di cui né lui né il suo avvocato riuscivano a conoscere l’oggetto e la ragione, venne condannato a morte senza che nessuno gli dicesse mai il perché.