I magistrati trasferiti per il pericolo attentati: istruivano il Maxiprocesso
Quando Falcone e Borsellino pagarono il conto all’Asinara: “Raffaele Cutolo la sera cantava canzoni napoletane”
All’Asinara, su una targa affissa alla parete della villetta rossa affacciata sul mare, si legge: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Frase di Paolo Borsellino che con il collega Giovanni Falcone, su quell’isola nel 1985, scrisse parte fondamentale dell’ordinanza sentenza del Maxi Processo, il più grande processo alla Mafia mai celebrato. 475 imputati, in primo grado 346 condanne, 19 ergastoli, in tutto 2.665 anni di reclusione che in Appello vennero in parte ridotte mentre le condanne vennero confermate e gran parte delle assoluzioni annullata in Cassazione il 30 gennaio 1992 – pochi mesi dopo i magistrati sarebbero stati uccisi da Cosa Nostra nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Prima però – molto prima di allora: prima delle stragi ma anche prima del processo – i due collaboratori del Pool antimafia Beppe Montana, a Capo della neonata sezione “Catturandi” di Palermo, e Ninnì Cassarà, Questore aggiunto presso la Questura di Palermo, erano stati eliminati dalla Mafia. E quindi Falcone e Borsellino vennero portati sull’isola dell’Asinara. “Per quel soggiorno all’Asinara Falcone e Borsellino dovettero persino pagare le spese di soggiorno per loro e le loro famiglie”, raccontò il giudice Antonino Caponnetto in un articolo pubblicato su Sudovest nel 1992, proprio nell’anno delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Che sarebbero dovuti andare all’Asinara i due magistrati lo avevano soltanto all’ultimo. Era trapelata la voce di un attentato di Cosa Nostra ai loro danni.
La figlia di Borsellino era a un compleanno, gli altri dai nonni. Furono prelevati tutti in gran fretta e trasportati sull’isola in elicottero militare. E all’Asinara, nel frattempo: “A quell’epoca non c’erano mica i cellulari, e io ero in ferie, in barca a vela, nelle acque di Budelli. Per rintracciarmi hanno dovuto fare un bel giro di chiamate ai parenti, e quello non era un buon segno”, ha raccontato in un’intervista a La Nuova Sardegna Franco Massidda, direttore del carcere di massima sicurezza dell’Asinara. “Direttore, non le posso dire nulla, ma deve rientrare immediatamente. Ordini dall’alto”, dissero al direttore che in barca portava sempre una giacca e una camicia.
Il capo gabinetto del ministero della Giustizia gli avrebbe annunciato l’arrivo di Falcone e Borsellino con le loro famiglie. “Da oggi staranno all’Asinara e saranno sotto la sua tutela”. Undici persone in tutto. Sull’isola 500 detenuti, anche siciliani però trasferiti a sud, a Fornelli, lontani due ore a piedi da dove avrebbero alloggiato i magistrati con le rispettive famiglie. “Ho chiesto: avete delle armi con voi? Dovete consegnarmele’. Falcone è perplesso, per un attimo incrocia lo sguardo di Borsellino, poi dice: ‘Non mi sono mai separato dalla pistola in vita mia. È proprio necessario?’”. La loro base fu la “casetta rossa” della foresteria – all’interno, oggi, foto dei magistrati e altri cimeli di quel periodo, in pratica un piccolo museo.
Un mese su quelle carte, a lavorare a poche centinaia di metri dal braccio di massima sicurezza del super carcere di Fornelli. “In quella stanza il fumo si tagliava a fette. Lavoravano sulle carte senza sosta, anche dopo cena, e tiravano avanti sino alle tre del mattino, e poi l’indomani alle 8, erano già in piedi”, ha raccontato nello stesso articolo di La Nuova Sardegna Gianmaria Deriu, brigadiere agente di custodia che nel 1985 aveva 27 anni. A soli 200 metri, in isolamento in un’altra cella, il “Professore” Raffaele Cutolo, il fondatore della Nuova Camorra Organizzata Napoletana (NCO) la sera cantava melodie napoletane. “Ma proprio accanto a questo dovevate sistemarci?”.
Falcone e Borsellino lavoravano in una specie di bunker, circondati da sentinelle e guardie. Le famiglie passavano le giornate al mare anche se Lucia Borsellino, figlia del magistrato, cominciò a dimagrire pericolosamente. Certo non una vacanza, nonostante un tuffo qualche volta. Se ne andarono, Falcone e Borsellino e famiglie, all’improvviso così com’erano arrivati. E alla fine del soggiorno sull’isola, a Falcone e Borsellino, lo Stato presentò loro il conto. “Pagammo, noi e i familiari diecimila lire al giorno per la foresteria, più i pasti. Avremmo dovuto chiedere il rimborso. Non lo facemmo, avevamo cose più importanti da fare. Non si trattò di somme eccessive ma non lo trovai giusto. Infatti rivelai questa circostanza nel 1988 nel corso di una mia audizione nel corso del Consiglio Superiore”, raccontò Paolo Borsellino in un’intervista a Lamberto Sposini. 415mila lire a testa.
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