Marco Filippeschi è stato sindaco di Pisa dal 2008 al 2018 e presidente di Legautonomie. Prima deputato e segretario del partito toscano e in segreteria come responsabile nazionale delle politiche istituzionali. Ora dirige Ali (Autonomie locali italiane) ed è fra i promotori, con Goffredo Bettini, del manifesto dell’associazione politica e culturale Le Agorà-Socialismo e Cristianesimo. E da quel manifesto si sviluppa il nostro colloquio.

Il segretario Enrico Letta ha risvegliato un dibattito sull’identità, ma non si è tirato indietro di fronte alla crisi del partito.
Il tema della partecipazione politica non prescinde da quello dell’identità. Il radicalismo cui ha detto Letta anche nel bel confronto con Conte deve poggiarsi su un’analisi forte, con risposte e scelte mobilitanti. La sconfitta storica del 2018 è una cesura irrisolta. Sarebbe illusorio fare un collage di quello che c’è.

Va ricentrata la strategia delle alleanze?
Si è messo in discussione il rapporto necessario con il M5s. Ma affossato il governo che ha arginato la destra nazionalista e fatto politiche di sinistra non c’è alternativa e c’è spazio per un’alleanza nuova.

Cos’è il Pd oggi, cos’ha trovato Letta?
Cosa sono i partiti, direi. Nella presentazione del nostro manifesto Andrea Ricciardi ha detto di “un partito che non c’è al di là dei suoi dirigenti”. Certo, nella discussione si deve partire dal nostro patrimonio, come ha fatto Stefano Vaccari su queste pagine. C’è un allarme. Recessione democratica, fine della democrazia dei partiti, delegittimazione e degenerazioni personalistiche e clientelari, o peggio. Frattura sociale fra “pochi” e “molti”, fra élite e popolo. Negli Stati Uniti, dopo Trump, torna la discussione su come la fortissima disuguaglianza e la deregulation del finanziamento alla politica generano per i ricchi enormi opportunità d’influenza.

Perché solo movimenti come “Friday for future” hanno forzato i confini?
Dal basso si possono generare cambiamenti, aprire crepe in un sistema che si è chiuso, schiacciato sulle istituzioni. Il termine “Agorà” ha il significato di partecipazione voluta, ricercata. È anche l’umiltà di un’autocritica. Letta ha proposto le “Agorà democratiche”. Le penso come l’avvio di una fase costituente.

Il Pd di Matteo Renzi, con la sua parabola, condiziona ancora il futuro?
Il partito di Renzi è stata una discontinuità. Leaderismo assoluto, destrutturazione, conformismo. L’arroccamento autodifensivo delle correnti, diventate dei sub-partiti più che necessarie aree politiche e di pensiero, è mantenere una gestione oligarchica.

Dunque da dove ripartire?
Nell’articolo 49 della Costituzione il soggetto sono i cittadini. Senza una partecipazione politica organizzata la sovranità appartiene al popolo solo in apparenza. Urge fare una legge.

Perché non si vede un’inversione di tendenza?
In ampie aree del paese anche il Pd è la somma di micropartiti personali locali. Tutti i partiti rischiano d’essere capeggiati e dominati da chi ha già proprie risorse finanziarie e comunicative. Privatizzati, con ruoli sempre meno contendibili. Parlo degli staff nelle istituzioni, delle notevoli indennità, dell’investimento personale sui social, delle relazioni che diventano esclusive e che indirizzano i finanziamenti privati della politica. L’organizzazione del Pd è svuotata. Non c’è più l’apparato, ma ci sono apparati di nuovo tipo, personali. Capi e gregari. Così la militanza si esaurisce, cadono partecipazione e passione. Penalizzate le donne, giovani esclusi.

Si può riproporre la forma-partito del passato?
No. Ne dobbiamo pensare una diversa. Però serve un’organizzazione politica che viva i conflitti. L’habitat sociale è critico: con subalternità culturali molto elaborate, create da poteri suadenti, che sfuggono alla critica dei più, di quelli che colpiscono.

Letta ha detto “primo, investiamo sulla rete”. È d’accordo?
Sì. Al Pd serve un mix: la rete digitale e una rete fatta di persone che s’incontrano e contano. Forme di democrazia deliberativa da sperimentare, per campagne, nei luoghi di lavoro e di socialità. Certe logiche si superano con un allargamento della partecipazione.

Fin qui siamo ancora dentro il Pd…
Vanno costruite relazioni stabili e sfidanti. Con i sindacati dei lavoratori, che per un partito del socialismo europeo non possono essere messi al pari di altre rappresentanze. Ma vanno anche adottate delle cause, direttamente. Quella dei lavoratori di Amazon o quella dei precari della “gig economy”. Sarebbe l’avvio di un’ottima campagna contro l’astensionismo… Poi il nuovo lavoro autonomo. Culture giovanili, mondi generativi dell’associazionismo cattolico, della cittadinanza attiva, del civismo.

Iscritti e elettori. A Roma e a Torino si torna a parlare di primarie. Non erano state archiviate?
Il mantra-primarie era stato silenziato perché conveniva decidere a tavolino, imponendo una maggioranza. Letta però ha parlato chiaro. Vanno ridefiniti i perimetri della partecipazione: quello degli iscritti che governano il partito e quello degli elettori che accettano di prendere parte a decisioni importanti, registrandosi. Quella per fare l’Albo degli elettori, previsto dallo Statuto, è stata una battaglia mancata di Pierluigi Bersani. Un errore molto grave.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.