Alla fine non ha vinto nessuno: delusione per il centrodestra che, pur avanzando grazie alle Marche, non è riuscito ad ottenere le vittorie importanti, quelle in Puglia e in Toscana. Delusione per il 5 Stelle, che porta a casa un pessimo risultato elettorale alle regionali, ma scatena le fanfare per magnificare un trionfo al referendum sul taglio dei parlamentari che non c’è stato, ma che serve a coprire la debacle. Delusione il PD, che ha condotto la campagna elettorale più disaggregata e incoerente della sua storia recente, presentandosi con formule diverse in ciascuna regione e perdendo un bel po’ di identità (oltre al governo di una regione) pur di tenere in piedi l’attuale compagine di governo. A questo punto tocca azzardare qualche previsione, e vediamo se la azzeccheremo. I grillini faranno due cose.

La prima: pretenderanno di continuare a dettare l’agenda politica e costituzionale pur non avendo il consenso per portarla avanti. Lo si capisce perché parlano dell’esito del referendum come di un loro “trionfo”. Ma i numeri dicono che non si è trattato certo di un trionfo, soprattutto tenendo presente che le indicazioni di voto di tutti i partiti, dico tutti (tranne più Europa) e non solo il M5Stelle, erano per il Sì. Ma loro, i grillini, fanno finta di nulla e, lo hanno già dichiarato, si appellano a maggioranza e opposizione per portare avanti l’unico punto rimasto nella loro agenda sbianchettata: l’antipolitica.

Sul tesoretto da 209 miliardi proveniente dall’Europa e su cosa fare col Mes, infatti, sono pieni di dubbi. Ma da soli non ce la faranno, perché hanno perso la metà del loro elettorato in due anni e a livello territoriale sono stati letteralmente cancellati. Certo, l’arroganza per farlo non gli mancherà, anche perché sin qui hanno avuto alleati – passati e presenti – che gliel’hanno consentita, andandogli dietro sulla strada del più bieco populismo. L’esito del referendum è il loro canto del cigno, l’ultimo litro di benzina in un motore spompato, e questo lo sanno anche loro. Ma gli rimane la maggioranza in Parlamento, sebbene puramente fittizia, e se la terranno stretta come il “Tesssoro” di Gollum finché avranno vita. Con quella proveranno, non avendo altre idee, ad andare avanti sul terreno dell’anticasta, tagliando gli stipendi dei parlamentari e rivedendo la legge sul conflitto di interessi, e di fatto disincentivando chiunque tranne loro stessi ad investirsi in politica e in Parlamento. Cercheranno di trasformare i luoghi della rappresentanza democratica in un salottino fatto a propria immagine e somiglianza, altro che democrazia diretta.

La seconda: infileranno dappertutto il proprio personale politico (sic!), presto orfano di 345 seggi parlamentari con annessi e connessi e dunque in cerca di arte e parte. Ci sarà una caccia alle nomine pubbliche come non ne abbiamo mai viste prima d’ora. Ma nessuno si scandalizzerà. Prima invece si scandalizzavano tutti. Da quest’altra parte, invece, si faticherà a prendere atto di un’evidenza: che un centrodestra a trazione salvinista o meloniana non ce la fa a sfondare. Non me ne abbiano gli amici Matteo e Giorgia, non è mica colpa loro. Loro si battono per affermare, col loro stile, le loro idee, e ci riescono benissimo. Siamo noi che manchiamo, i moderati, liberali, popolari, chiamiamoli come vogliamo. Quelli che non sono di sinistra ma nemmeno si riconoscono nei partiti sovranisti. Senza di noi, e senza un partito che articoli ordinatamente questa appartenenza e le dia una forma, non esiste il centrodestra italiano.

Forza Italia, i numeri lo dicono chiaro, non sta riuscendo a giocare questo ruolo: da troppo tempo, per presunta convenienza, ha subito la ibridazione col populismo senza crederci davvero. Perdendo in slancio e in identità, e non offrendo tutto il proprio contributo all’alleanza.
Bisogna ripartire da qui, dal dato di realtà. Ad essere sinceri, ci sarebbe stata una possibilità per cominciare a dare una fisionomia nuova ad un progetto di vero centrodestra: dichiarare compattamente il proprio NO al referendum, in aperto contrasto con l’ideologia grillina, parlando in modo chiaro ed univoco a quell’enorme fetta di elettorato che nei 5 Stelle non si riconosce, e nella sinistra tantomeno.
Ma ha prevalso la tattica, come spesso accade di questi tempi, e la paura di perdere il consenso del momento ha avuto la meglio sulla necessità, pur chiara a tutti, di un’evoluzione dell’attuale assetto del centrodestra. Se Salvini, Berlusconi e Meloni avessero fatto insieme campagna per il NO, il risultato del referendum (e quindi le vicende politiche da qui in avanti) sarebbe stato ben diverso.

Infine il Pd. Non farà assolutamente nulla. Si barcamenerà in un’alleanza sempre più instabile e nervosa col 5Stelle fino all’elezione del Capo dello Stato, nel 2022. Una scadenza troppo consueta ed importante per la sinistra. Nel frattempo cercherà di fare la guardia alle intemperanze grilline e assorbirà nel proprio ventre molle ogni balcanizzazione, ogni tensione, ogni aspettativa. Ammorbidirà ogni spigolo fuori e dentro di sé e farà quello che è più nel suo dna: gestire il potere hic et nunc, con una determinazione e una competenza di cui nessun altro è dotato. Ogni richiamo al rinnovamento o ad un superamento di logiche politiche ormai logore e non degne di un partito dalla grande tradizione, semplicemente verrà ignorato. Non c’è da stare allegri, lo so. Ma per fortuna esiste l’imprevisto, e di imprevisti sarà lastricato il cammino della politica nei prossimi mesi.